Uruguay – È possibile fare una missione in tempi di confinamento?

(ANS – Montevideo) – Juan Martín Ferreira, un giovane di 21 anni, è al secondo anno del corso di Laurea in Comunicazione Sociale, anima l’Oratorio Sambartolo e i gruppi associativi dell’Istituto Pio IX, è membro del Movimento Giovanile Salesiano di Villa Colón e per questo ha lavorato all’organizzazione di una missione pasquale. Ecco come racconta le sfide che ha dovuto affrontare in tempo di pandemia e le risonanze che questa particolare missione ha avuto.

Come è nata l’iniziativa di svolgere una missione durante la Settimana Santa?

La missione è stata organizzata dal Movimento Giovanile Salesiano di Villa Colón che anima tutto il movimento dell’Opera, che siano oratori, gruppi associativi, catechesi o gruppi di animatori. Siamo circa 9 persone che ne fanno parte. Da tre anni andavamo facendo missioni durante la Settimana Santa, ma quest’anno è stato diverso.

Come è stata concepita la missione online?

Quando si è venuti a conoscenza dei primi casi di coronavirus in Uruguay e la Conferenza Episcopale dell’Uruguay ha deciso di non celebrare le Messe con i fedeli, lo scenario cui ci siamo trovati di fronte era nuovo in tutti i sensi. Abbiamo dovuto pensare a come realizzare e trasmettere le diverse celebrazioni che si svolgono durante la Settimana Santa. Per la missione, in particolare, abbiamo pensato a quattro momenti della giornata: la preghiera del mattino; alle 14.30 un tempo di riflessione; alle 17.30, nelle 15 comunità già costituite, un tempo per condividere le risonanze della giornata. Infine, in serata, la celebrazione eucaristica trasmessa dal Santuario.

All’inizio pensavamo alla missione solo per le persone di Villa Colón, ma man mano che si diffondeva, persone di altre opere hanno cominciato a scriverci chiedendoci di partecipare ed è stato molto positivo. Hanno partecipato quasi 100 persone provenienti da diverse comunità del Paese.

Come avete potuto svolgere l’apostolato nelle circostanze che abbiamo vissuto?

Quando parliamo di apostolato, in generale pensiamo di uscire, di fare chilometri, di vivere esperienze con persone che non si conoscono nemmeno e la realtà che ci è stata presentata richiedeva una buona dose di creatività per realizzare effettivamente la missione. Le proposte per l’apostolato sono state pertanto conformi alle possibilità che avevamo, ed erano concrete e precise. Alcune erano finalizzate a fare delle attività all’interno delle nostre case, altre a tenere presente nella nostra preghiera il personale sanitario, specialmente degli ospedali spagnoli. A ciascuno di noi è stato dato un nome e abbiamo vissuto l’apostolato di pregare per quella persona.

Che riscontri avete ricevuto dai partecipanti?

In generale le risonanze sono state positive, chi ha partecipato l’ha trovato utile. Con la mia comunità abbiamo concordato che questa modalità ci ha aiutato ad approfondire e ad essere più consapevoli di ciò che visse Gesù. È vero che abbiamo smesso di stare insieme fisicamente, ma d’altra parte abbiamo acquisito profondità e spessore nell’esperienza che abbiamo dovuto vivere.

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