di don Antonio Ribeiro
L’esperienza degli oratori a poco a poco venne imitata da tanti sacerdoti nel corso dei secoli e in tutta Italia, fino a diventare un patrimonio pastorale di molte diocesi, parrocchie e istituzioni religiose. Basti ricordare alcune osservazioni recenti: “due milioni di bambini e adolescenti iscritti, oltre 350mila volontari e animatori impegnati, ottomila strutture coinvolte: sono i numeri dell’oratorio estivo in Italia nel 2016”. (Avvenire, 15 giugno 2016)
Don Bosco visse a Torino circa tre secoli dopo San Filippo Neri e rese popolare l’esperienza educativa dell’oratorio. Profondo conoscitore della realtà di migliaia di giovani poveri, immigrati, affetti da varie dipendenze, senza famiglia, senza una formazione religiosa, abbandonati a se stessi e in giro per le strade di Torino iniziò un nuovo Oratorio e propose: un’esperienza aperta a tutti, senza confini religiosi, con una varietà di proposte educative; offrì uno spazio educativo religioso nei giorni festivi e la domenica e poi iniziò ad offrirlo ogni giorno.
Un oratorio senza Dio, che non parla di Gesù Cristo, dove non si annuncia la Parola di Dio, dove nessuno parla della Vergine, non c’è un ambiente educativo e un clima umano rispettoso è annunciato… non è un oratorio salesiano.
Per essere fedeli agli ideali di Don Bosco bisogna preservare l’identità dell’Oratorio Salesiano come spazio di promozione socio-educativo ed evangelizzatore, attraverso lo sport, la musica, il teatro, la danza, dei buoni amici, i gruppi, le preghiere e dei messaggi positivi.
L’oratorio della missione salesiana di Santa Isabel di Rio Nero, Amazonas, è parte stabile dei pomeriggi di tanti giovani, che vi si riuniscono per giocare, parlare, ascoltare buona musica e buoni messaggi. In questo periodo i Salesiani e i loro collaboratori lavorano in particolare per prevenire le dipendenza, la violenza e la criminalità in generale.