Giovani mutevoli, erranti… Sono termini nuovi?
Sono realtà nuove, alle quali, da parte della Pastorale, stiamo ancora tentando di dare un nome, perché vanno al di là dei quadri teorici che usiamo solitamente… Prima si parlava dei giovani come persone e ora si preferisce parlarne come soggettività in costruzione, cioè non come soggetto già costituito, finito, completo in sé, ma come soggetto in costruzione, quindi come soggettività.
Cosa s’intende per errante e mutevole?
“Errare” o “mutare” ci aiutano a capire che le realtà giovanili sono sempre in cambiamento, anche a livello delle credenze. I giovani credono diversamente da come lo facciamo noi adulti, soprattutto nei segmenti dei giovani urbanizzati, che credono senza necessità di appartenere, restando a margine delle istituzioni. I ragazzi non vogliono regole.
Da dove possiamo iniziare a cambiare?
Il segreto è conoscere le esigenze dei giovani. Muoverci insieme a loro, stare nel movimento della cultura, il che non vuol dire mimetizzarsi con loro, perché ciò significherebbe rendersi ridicoli e rendere non credibile il messaggio che si vuole trasmettere. Ma conoscere ciò che un giovane necessita da parte di un adulto può costituire il primo passo per avvicinarsi, incontrarsi e fare una proposta sulla base delle esigenze dei ragazzi e non, all’opposto, sulla base di ciò che noi vediamo o pensiamo che hanno bisogno… Don Bosco fu molto saggio quando disse che bisogna amare le cose dei giovani perché loro amino le nostre.
Qual è la missione della Chiesa in questo tempo, in relazione ad una rinnovata Pastorale giovanile?
Mi sembra che vada lungo la linea di una Chiesa da campo, una Chiesa Samaritano/Samaritana: Samaritano come il Buon Samaritano; e Samaritana come la donna al pozzo. Credo che in questo senso si possa pensare ad una Pastorale giovanile che serva coloro che sono feriti lungo la strada, a partire da una Pastorale che cammina insieme, accompagna... e non si vergogna, né si scandalizza di chi è steso sulla strada.
Fonte: Bollettino Salesiano Uruguay