È l’amore che spinge un sacerdote a stare in questa situazione; avere esperienza anche militare certamente aiuta, perché – dice – il pericolo è ovunque e serve comprendere la psicologia di chi ti sta accanto per aiutare i soldati e non essere anzi di intralcio. E poi serve uno stato mentale pronto a vedere morte e sofferenze, vincendo su se stessi, senza sprofondare nel dolore, anzi cercando di stabilire un buon rapporto con tutti. I salesiani in questo sono facilitati, spiega don Ladnyuk, attingendo alla sua esperienza negli oratori anche italiani. È qui infatti che ci si abitua a incontrare tutti senza distinzioni.
“La formazione salesiana mi ha aiutato molto: l’esperienza degli oratori ti abitua a rapportarti con persone di ogni genere; poi, una buona abitudine dei salesiani è anche la fatica fisica, che in guerra non guasta, e anche la formazione psicologica cui siamo abituati. Questa è la nostra preparazione – afferma –. Ma le sfide non mancano, prima fra tutti quella di come superare la sofferenza. Me lo chiedono – confessa –. ‘Come fai a non perdere la fede?’ E mi dicono che vedono Dio in me. Per me questa è la sfida”.
Un grande sostegno per chi, come don Ladnyuk, opera nei teatri di guerra, è sapere che non si è soli, ma che c’è una comunità che prega, che spera, che lo aiuta. “Mi chiamano, mi scrivono anche dall’Italia” e i miracoli della preghiera si vedono, almeno nelle tante volte in cui si è salvato sotto il fuoco e il fragore delle bombe grazie proprio alla protezione di Maria.
Quale oggi l’impegno più importante? Il servizio chiama don Ladnyuk in questi giorni a dire Messa, confessare, distribuire la Comunione, più nelle retrovie che sulla linea del fronte. Poi c’è l’attività richiesta negli ospedali e nei villaggi, laddove sono rimasti ancora molti civili, e c’è sempre chi vuole espatriare. In tutta la sua attività calcola di aver aiutato a scappare almeno 500 persone, ma potrebbero essere molte di più, anche perché – ricorda – nei primi mesi “caricavo il mio pulmino di tanta, tanta gente e non li ho contati”.
Nei suoi viaggi di soccorso don Ladnyuk si preoccupa di tutti: porta cibo e medicinali alla popolazione rimasta in Ucraina a soffrire, consegna aiuti negli ospedali dove vengono curati i feriti, visita i militari e trasporta anche cibo per i tanti animali domestici che durante la guerra sono stati abbandonati e ora vengono curati da chi ne ha avuto compassione e li ha raccolti.
L’esperienza più toccante e difficile è stata quella di aver portato via dei bambini senza i genitori: “Me li affidavano perché si fidavano di me e volevano che li portassi in luoghi sicuri”. Per fortuna oggi si sono tutti ritrovati.
“Poi l’esperienza con i giovani – aggiunge ancora – è quella più difficile, ma anche la più vicina alla spiritualità salesiana. Quando vengono via non hanno voglia di parlare, e io rispetto il loro silenzio, poi quando entrano nella nostra casa salesiana, le barriere cadono e piangono con me”.
“Noi sacerdoti ricordiamo sempre che Gesù è stato sempre con gli ultimi, i più poveri – conclude il salesiano – E se abbiamo la possibilità dobbiamo aiutare queste persone, anche se non sono i nostri parrocchiani dobbiamo mostrare loro che, attraverso di noi, Dio non le abbandona; dobbiamo dare loro speranza”.
Fonte: Vatican News