L’esplosione di Beirut, provocata, sembra, da un incendio nelle vicinanze, ha causato almeno 137 morti (con il bilancio tristemente ancora non completo) e circa 5.000 feriti, di cui vari in gravi condizioni. L’onda d’urto si è estesa per un raggio di oltre 10 km, distruggendo o danneggiando gravemente ospedali, luoghi di culto edifici pubblici e abitazioni private, oltre alle navi che erano nel porto o in rada. Si stima che circa 300mila persone abbiano perso la casa e i danni materiali sono calcolati in miliardi di dollari.
Testimonia uno dei Figli di Don Bosco attivo nel Paese dei Cedri: “Se finora, come Salesiani non ci risultano vittime tra le nostre conoscenze, lamentiamo feriti e danni più o meno rilevanti in molte case da loro abitate. La casa di un confratello libanese, don Dany El-Hayek, ha subito gravi danni, ma, fortunatamente, i suoi genitori si trovavano in montagna. Rifugiati siriani ed iracheni residenti a Beirut e dei quali ci occupiamo, ci stanno segnalando non solo i danni materiali delle loro abitazioni, ma pure e soprattutto lo choc psicologico subito da loro e dai loro figli. Partiti dal loro paese per sfuggire alla guerra, si trovano ora in un Paese in crisi e in situazione di gravissimo disagio”.
Il Libano, infatti, non riesce oggi ad occuparsi neppur più dei suoi cittadini e si trova ora con la Capitale improvvistamente devastata, dopo 30 anni di lenta e faticosa ricostruzione seguita alla guerra civile che era terminata nel 1990. Autorità civili e religiose del Paese stanno lanciando appelli al mondo intero perché accorra in auto a un paese paralizzato dallo choc e senza risorse. “Il Libano merita il sostegno dei suoi fratelli e amici, necessario per rimettere in piedi la sua capitale” ha invocato in un comunicato il Patriarca Maronita del Libano, Bechara Boutros Rai.
La crisi, già grave, è ora del tutto insostenibile e le sue conseguenze, a breve e lungo termine, imprevedibili, o meglio, prevedibili in peggio.
In questa situazione i salesiani provano a contribuire offrendo uno sguardo di speranza e rilanciando un appello alla solidarietà internazionale: “Se da molti si leva un grido di disperazione e di rabbia per l’incoscienza di troppi politici e funzionari, tra cui le autorità del porto di Beirut, alle quali viene attribuita la responsabilità della catastrofe di ieri, noi lanciamo un grido di speranza, guardando soprattutto ai giovani libanesi, pieni di risorse e intraprendenti. Ci sentiamo vicini a loro e preoccupati del loro avvenire. L’aiuto che sollecitiamo è sia per loro che per i rifugiati siriani ed iracheni di cui ci occupiamo”.
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