Potrebbe parlarci brevemente del suo rapporto con don Bolla?
Don Luigi Bolla, “Yànkuam’”, Stella del crepuscolo, come l’hanno battezzato gli Achuàr, l’ho incontrato per la prima volta nel 1990 a Lima in un Congresso Missionario interamericano. Le poche ore che in quei giorni ha potuto dedicarmi mi hanno aperto la mente ad una visione missionaria che nella mia formazione nessuno aveva nemmeno sfiorato. Poi, nella mia qualità di Presidente del VIS, su sua richiesta, abbiamo tradotto e pubblicato in Italia due suoi libri destinati agli antropologi: “Il popolo della Wayus, gli Achuar” e “Gli Achuar sottogruppo del popolo degli Aìnts o Jìbaro”. Inoltre per la sua catechesi diretta ho fatto stampare per lui in centinaia di copie di grande formato le 11 tavole di catechesi sul Nuovo e Vecchio Testamento disegnate magistralmente da Franco Rovere, che per 10 anni ha condiviso la sua fatica apostolica. Come Animatore Missionario per le Ispettorie italiane sono stato più volte tra gli Shuar dell’Ecuador, mantenendomi in contatto con don Bolla.
Quali sono stati gli aspetti che l’hanno maggiormente colpita della figura di don Bolla?
Vedo tre periodi, in crescendo, nella vita spirituale di don Bolla. I primi 20 anni sono una risposta totalitaria alla voce del Signore che lo chiama a farsi salesiano e partire per le missioni. Dai 20 ai 40 è missionario appassionato tra gli Shuar dell’Ecuador inserito nelle Comunità salesiane. Dai 40 anni in poi, per 40 anni, vive solo, senza altri confratelli, perfettamente integrato nella vita del popolo Achuar che non aveva ancora ricevuto l’annuncio del Vangelo. Penso che non ci sia un missionario del nostro tempo così radicale nel percorrere la strada dell’inculturazione. Lui, spinto da una chiara motivazione missionaria, illuminata dai documenti del Concilio Vaticano II, si mostrò audace condividendo la vita (durissima per un occidentale) di un popolo amazzonico. Questi 40 anni li visse con intensità e senza cedimenti: giornate di lavoro nei campi degli Achuar, di cui si considerava ospite; lunghissime e sfibranti camminate nella foresta, per visitare gruppi di poche persone; lunghe ore partecipando a riunioni di minuscole comunità, per risolvere problemi che facilmente liquideremmo come irrilevanti... Ma questa, per lui, fu la maniera di vivere la sua consacrazione ad un popolo, e gli permise di far conoscere i valori del Regno di Dio aprendo un cammino di evangelizzazione nuovo, difficile e profondamente attuale, in qualunque contesto e con qualsiasi cultura.
Quale messaggio lascia in eredità ai salesiani di oggi la vita missionaria di don Bolla?
È proprio il caso di usare il termine eredità perché nelle silenziose notti nella foresta don Luigi Bolla ha tradotto tutto il Nuovo Testamento e parte del Vecchio nella lingua Achuar (una lingua per la quale lui stesso ha preparato la grammatica e il vocabolario). Nel 2015 è stato pubblicato in Perù un corposo volume delle sue memorie, che lui stesso aveva preparato, e di cui quest’anno ho curato la traduzione e la pubblicazione; ma in più, alla sua morte, nel 2013, trovarono 83 quaderni di riflessioni, documentazione, cronaca, valutazione della vita quotidiana. Don Juan Bottasso, SDB, li ha fatti trascrivere e ora sono diventati 14 volumi, per un totale di 6.000 pagine: lo studio antropologico più serio e più documentato che sia mai stato fatto per un popolo, e per di più redatto da un autore che è vissuto con loro.
Potrebbe parlarci dei libri che sono stati scritti con il patrocinio del VIS su don Bolla? A chi sono rivolti?
Lui stesso è l’autore di un volume uscito postumo in Perù in lingua spagnola nel 2015, e del quale ho curato la traduzione e la pubblicazione: “Il mio nome è Yankuam” (Elledici, 2018, pag. 452).
Si tratta di un libro diretto a chi vuol conoscere dal vivo il modo di vivere degli abitanti della selva amazzonica, ma in particolare agli operatori pastorali che vogliono riflettere sul delicato problema di far incontrare il Vangelo con culture millenarie che non l’hanno ancora conosciuto, ma rispettando la loro spiritualità e la loro identità culturale così caratteristica, come è quella di popoli che vivono nella foresta tropicale. Ma interesserà anche ai cultori della letteratura amerindia e dello studio della vita dei primi abitanti dell’Amazzonia.
Un secondo volume: “Gridò il Vangelo con la vita” (Elledici, 2018, pag. 100). In questo agile volume l’autore, don Juan Bottasso, mette in evidenza le motivazioni profonde della scelta pastorale di don Bolla, ne esplora i principi ispiratori e colloca questa esperienza nel suo contesto. In particolare come don Bolla ha preparato questo popolo all’annuncio del Vangelo partendo dalla mitologia Shuar-Achuar per tradurre in pratica un invito del Vaticano II: cercare Dio nelle varie culture e religioni, dal momento che lì già è presente, come è presente la pianta in un seme.
Un terzo volume, edito dall’Ispettoria Salesiana dell’Italia Nord Est (INE), ma scritto in gran parte da don Vincenzo Santilli, SDB, e integrato da don Guido Poier, Carlo Bolla e Stefano Tomasoni che vivono a Schio, la città natale di don Bolla, ha come titolo “Yankuam, padre del popolo Achuar”. Spero che questa biografia completa possa raggiungere molte persone che difficilmente leggeranno testi specialistici, e si possa così conoscere sempre più lo spirito di questo grande missionario.
In una società in cui si pretende di ignorare i diritti dei popoli indigeni con politiche che lentamente li emarginano sempre più, e sulla base del suo contatto con don Bolla, cosa sa dirci sul rispetto per l’identità dei popoli indigeni, sull’educazione e sulla promozione sociale?
La risposta ce la dà Papa Francesco. Dopo lo storico incontro con i popoli amazzonici a Puerto Maldonado nel gennaio 2018, ha indetto il Sinodo Panamazzonico che si terrà a Roma nell’ottobre 2019. Il Papa con il suo viaggio ha fatto conoscere al mondo una vera e molto rilevante periferia dell’Amazzonia. Periferia maltrattata, sofferente, spogliata da progetti estrattivi predatori, degradata e contaminata dalle imprese minerarie, dalla deforestazione e dall’agro-business, che dopo aver estratto tutta la ricchezza delle risorse naturali, se ne vanno con le valigie piene, senza lasciar niente di buono alle popolazioni locali, ma solamente la devastazione. Tutta l’Amazzonia soffre questo processo e rischia di sparire. Con quest’Amazzonia minacciata, in questa periferia, con queste popolazioni angosciate di fronte al loro futuro, specialmente con gli indigeni, il Papa prima ha voluto incontrarsi e poi ha indetto il Sinodo Panamazzonico per rendere possibile la nascita e lo sviluppo di una Chiesa indigena, inculturata e che abbia pastori indigeni a guidarla.
Esattamente l’esperienza vissuta per 40 anni da don Bolla, che ora si presenta come una risposta provvidenziale e come un modello sperimentato e positivo per indicare concretamente la strada anche ai Padri sinodali.
Yánkuam’, una stella che possa brillare nel cielo della santità salesiana?
Le persone che hanno condiviso un periodo della loro vita con don Bolla sono unanimi nell’affermare l’eroicità cristiana della sua scelta e della sua vita. Don Domingo Bottasso, che è uno dei salesiani che è vissuto più tempo a fianco di Yánkuam’, sintetizza questo pensiero dicendo: “Se non è santo lui, non è santo nessuno”.
Preghiamo lo Spirito Santo che guidi la Comunità ecclesiale in cui è vissuto a raccogliere tutti gli scritti, le interviste, le testimonianze, perché nulla vada perduto di quanto si riferisce a padre Yánkuam’, in vista di valutare se è possibile avviare il cammino che possa proporcelo come un santo, come un modello di chi “si è fatto tutto a tutti per guadagnare qualcuno a Cristo”.