Don Convertini nacque in contrada Papariello di Locorotondo (Bari) il 29 agosto 1898. Durante la I Guerra Mondiale fu chiamato sotto le armi. Fu ferito, fatto prigioniero e condotto in Polonia. Tornato in Patria disse "sì" alla chiamata del Signore manifestatasi attraverso la mediazione di don Angelo Amadei e della Comunità del “Cagliero” di Ivrea.
Partì da Genova per l’India dopo aver ricevuto il Crocifisso Missionario dalle mani del Beato don Filippo Rinaldi. Novizio del Venerabile Stefano Ferrando, discepolo di mons. Luigi Mathias e del Servo di Dio don Costantino Vendrame, si distinse per un eccezionale zelo apostolico. Suo campo di missione fu il Bengala, dove nessuno come don Francesco ebbe tanti amici e figli spirituali tra ignoranti e sapienti, tra ricchi e poveri. Era l’unico missionario che poteva entrare in una casa di Induisti o di Musulmani. Era continuamente in cammino di villaggio in villaggio: a cavallo, in bici o meglio ancora a piedi con solo lo zaino sulle spalle, perché così avrebbe potuto incontrare tanta gente e parlare loro di Cristo.
Si donava indistintamente a tutti: Musulmani, Indù, Cristiani… e da tutti fu amato e venerato come Maestro di vita interiore che possedeva abbondantemente la sapientia cordis. Morì, lui devotissimo della Vergine, l’11 febbraio 1976 mormorando: “Madre mia, io non ti ho mai dispiaciuto in vita. Ora aiutami tu!”.
Nel suo cammino seppe intercettare le vita degli altri, incontrare le persone con il suo cuore, la sua bontà e la sua umanità. È questa un’eredità che viene consegnata a noi e soprattutto alle nuove generazioni.
Don Convertini non è stato un teorico, ma con la concretezza della vita ha saputo diramare in tante direzioni una linfa di valori, di ideali e di Vangelo. Ha declinato la misericordia non in un vago sentimentalismo, ma nella concretezza di tutte le opere corporali e spirituali.