Il principale obiettivo del programma dell’Università Don Bosco (UDB) è la formazione di una generazione di “Náhuat-parlanti”, che vadano a sostituire l’attuale generazione di parlanti, composta da generazioni di nonni e bisnonni. I bambini che frequentano la “Culla Náhuat” sono quelli che eviteranno che la lingua Náhuat diventi una lingua morta.
I contenuti educativi e le competenze linguistiche e psicomotorie sono proposte dal Ministero dell’Educazione e raccomandati per i bambini. Le attività del programma formativo si sviluppano esclusivamente in lingua Pipil, e sono frequentati da donne indigene che parlano Náhuat, note come “nanzin tamatxtiani” (cioè “signore maestre”) che interagiscono con i bambini solo in Náhuat.
Jorge Lemus, Direttore del Dipartimento di Ricerca Linguistica presso l’Università Don Bosco, spiega che “attraverso questo programma tutti i membri della comunità, indigeni e non indigeni hanno rivalutato il patrimonio culturale Pipil, in particolare la lingua, ed è rinato l’orgoglio etnico tra gli indigeni di oggi, molti dei quali prima dell’inizio di questo programma rinnegavano il loro patrimonio storico”.
“Inoltre – prosegue – la donna indigena da Santo Domingo de Guzman è riuscita a rivendicare alcuni dei suoi diritti, di essere riconosciuta come essenziale per la salvaguardia della cultura ancestrale indigena. La Culla Náhuat è riuscita a richiamare l’attenzione di organizzazioni accademiche, governative e non, nazionali e internazionali, insieme a turisti e persone interessate all’argomento”.
L’UDB ha avviato questo programma, attraverso il Dipartimento di Ricerca linguistica, nel 2010, e finora ha portato al diploma oltre 200 bambini della comunità.
Il programma è sostenuto del Ministero dell’Educazione, l’UNICEF, il Comune di Santo Domingo de Guzmán ed è stato riconosciuto dall'UNESCO come un esempio di “buona pratica per la rivitalizzazione linguistica” a livello mondiale.
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