La Ratio Fondamentalis, il documento guida per la Formazione dei Salesiani di Don Bosco, scatta una fotografia molto espressiva del tirocinio quando lo definisce “dal punto di vista salesiano, la fase più caratteristica della formazione iniziale” (FSDB, n° 428). La lettera ne trae le conseguenze, basandosi su quanto essenzialmente viene detto nelle Costituzioni, nei Regolamenti e nella Ratio stessa:
“Un primo punto da notare è che l’articolo 115 delle Costituzioni non si concentra sull’azione educativa e pastorale in quanto tale, ma sull’ESPERIENZA VITALE E INTENSA che il confratello fa di tale azione. È la qualità DELL’ESPERIENZA VISSUTA che fa sì che il tirocinio diventi ‘la fase più caratteristica della formazione iniziale’”.
Ciò che fa di questa stagione un così grande potenziale di crescita salesiana è il modo con cui l’esperienza viene vissuta e interpretata. Non tanto il lavoro in sé, né l’avere delle buone capacità personali per l’animazione o l’insegnamento. È piuttosto l’“imparare dalla vita” che fa la differenza. Il rimando è diretto è immediato all’articolo conclusivo della terza parte delle Costituzioni dedicata alla formazione, che è come una password che aiuta a comprendere il significato e il valore della formazione salesiana del suo insieme: “Vivendo in mezzo ai giovani e in costante rapporto con gli ambienti popolari, il salesiano si sforza di discernere negli eventi la voce dello Spirito, acquistando così la capacità d’imparare dalla vita” (Cost. n° 119).
Questa è la vera formazione permanente, cioè il permanere costantemente in un processo di crescita e di risposta alla chiamata di Dio giorno dopo giorno, nel servizio della comunità e dei giovani a cui si è mandati. Letto in quest’ottica il tirocinio ha un potenziale unico e insostituibile nell’arco delle fasi iniziali della formazione.
Perché richiamare questi elementi già così bene espressi nelle Costituzioni e nella Ratio? Perché non sono affatto da dare per scontati.
Visitando tante comunità e incontrando giovani confratelli in questa fase, o dopo averla terminata da pochi mesi, si può toccare con mano come accanto ad esperienze estremamente positive ve ne siano tante del segno opposto, dove è mancato il sostegno e l’accompagnamento da parte del Direttore e delle comunità locali, condizione indispensabile per far sì che quanto veniva chiesto e affidato ai tirocinanti diventasse davvero “esperienza vitale e intensa di azione educativa e pastorale”.
La lettera è diretta anzitutto agli Ispettori e ai loro Consigli, per incoraggiare il miglior discernimento possibile quando si tratta di scegliere in quale comunità inviare i confratelli per il tirocinio. I Regolamenti e la Ratio sono molto chiari nel richiamare i requisiti che una comunità deve avere per poter accompagnare i tirocinanti.
“Che dire delle comunità che hanno veramente bisogno di aiuto, ma non possono fornire ciò che è necessario per la validità dell’esperienza formativa del tirocinio? Qui gli Ispettori devono essere fermi. Non possono mai sacrificare o mettere a rischio la crescita vocazionale di un confratello sotto la pressione delle emergenze”.
Con uguale chiarezza si chiede ai giovani in tirocinio di essere aperti e disponibili a investire il meglio delle loro energie e a farsi accompagnare. La formazione rimane sempre un dono e compito per la libera risposta di ogni persona, a cui nessuno mai potrà sostituirsi. Alla lettera di don Ivo, indirizzata principalmente a chi accompagna, viene unita quella scritta nel 2010 dall’allora Consigliere per la Formazione, don Francesco Cereda, indirizzata ai tirocinanti stessi.
L’articolo 44 delle Costituzioni ricorda poi che la missione viene assunta e attuata “in primo luogo alle comunità ispettoriali e locali”. La missione più importante e più gravida di conseguenze per il futuro è proprio la formazione: una missione eminentemente comunitaria. Fare del tirocinio un’esperienza “vitale e intensa di azione educativa e pastorale” è possibile quando tutti i membri della comunità, giovani e meno giovani, prendono a cuore questa grande responsabilità, facendo sì che ciò che si vive in quella particolare casa, benedetta dalla presenza di giovani confratelli, diventi “la fase più caratteristica della formazione iniziale”.
Silvio Roggia, SDB