di don Mateo González Alonso, SDB
Passando dallo schermo della tv a quelli di PC, tablet e smarphone, s’incontrano le reti sociali, attraverso cui passa molta della vita degli adolescenti.
È attraverso una di queste che si è diffuso un macabro gioco il cui finale altro non è che il suicidio, aggiornando così le suggestioni che pochi decenni fa suscitavano i giochi di ruolo più possessivi. È il caso della cosiddetta “Balena Blu”, una competizione che avrebbe incoraggiato decine di suicidi documentati negli ultimi mesi, e che si è diffuso in quasi cento paesi.
Le regole per partecipare a questo gioco sono diffuse attraverso gruppi privati su Facebook o da telefono a telefono, tramite servizi di messaggistica istantanea. Si tratta di una cinquantina di prove che devono essere compiute e comprovate con l’invio di immagini al direttore del gioco. Prove di crescente autolesionismo, fino alla prova numero 50, il suicidio.
Ogni anno circa 800.000 persone si suicidano. Il suicidio è la seconda causa di morte tra i giovani di età compresa tra i 15 e i 29 anni.
Al di là di qualche notizia sensazionale o di una scena drammatica come nel film “L’attimo fuggente” (“Dead Poets Society”), oggi – come sempre – il suicidio tra i giovani adolescenti è un grave problema. Ma è anche qualcosa di più, è un appello degli adolescenti a renderli qualcosa di più di un semplice cartone animato con gli ormoni. Famiglie, educatori, amici... siamo tutti coinvolti in questo percorso, ciascuno con il proprio ruolo e la sua esperienza.
Alla fine una vita, ancor più se di un adolescente, che termina con un suicidio, parla più della società in cui si verifica che della personalità di chi è arrivato a tale epilogo.