Perché oggi costa così tanto ascoltare la chiamata di Dio?
Perché viviamo con molti divertimenti, ma con poca vita interiore; con molto rumore, più nel cuore, che nell’ambiente (il che è già tutto dire); preoccupati più di noi che di Dio e della sua immagine vivente, il prossimo che ha bisogno di noi. Temendo che Dio ci chieda cose che non vogliamo/possiamo darGli, ci rifiutiamo di ascoltarlo. Un Dio così distaccato, che non dice più nulla, che significa così poco, finisce per essere un idolo, tanto innocuo quanto facile da trattare.
In che misura la “crisi vocazionale” è un segno dei tempi?
Non credo, sinceramente, ci sia una crisi di vocazioni. Dio chiama sempre quanti vuole; altra cosa è se vogliamo ascoltarLo. Nella comunità cristiana mi pare si verifichi qualcosa di molto grave: tra noi credenti, anche i migliori, viviamo in uno stato di disobbedienza permanente. Impegnati come siamo a risolvere problemi sociali, nostri o dei nostri cari, non c’importa ciò che Dio ci dica in quello che ci accade. È più urgente per noi intervenire nel mondo, che permettere a Dio di intervenire nei nostri cuori. Come potremo seguire un Dio che non ascoltiamo, né apprezziamo?
La pastorale vocazionale ha bisogno di rinnovamento?
Certo, la pastorale vocazionale ha bisogno di un profondo rinnovamento, ma non nei suoi destinatari, il mondo giovanile, ma nei suoi “pastori”, quelli inviati da Dio. Perché si è dimenticato che Gesù, prima di inviare i dodici a due a due ad evangelizzare, ordinò loro di pregare il Signore della messe? Una vita di preghiera personale e la testimonianza autentica di quei volti trasfigurati per aver conversato con Dio sono il modo migliore per suscitare e prendersi cura delle possibili vocazioni. Solo coloro che hanno incontrato il Signore diventano i suoi efficaci propagatori.