Quasi per un processo di imitazione al mondo globale, questi problemi generano in noi routine e stanchezza, provocando spesso la fine delle relazioni stesse. Avviene così che i nostri migliori progetti o le nostre migliori intenzioni vengono vanificati dai nostri stessi errori e limiti personali.
In ogni relazione affettiva così come in un progetto comunitario, anche se molte sono le situazioni di conflitto in cui si possono intravedere punti di vista o visioni diverse, un modello comportamentale virtuoso deve poter raggiungere l’armonizzazione di queste, attraverso la tolleranza e l’apertura mentale.
La crescita e il consolidamento dei nostri legami richiedono allora un impegno costante, in un cammino che diventa ostile perché adombrato dalla stessa realtà, e dal modo di percepirla.
Uno dei modi per rompere questo processo entropico è la nostra capacità di porci “al posto dell’altro” per comprenderne il vissuto. Come dice lo psichiatra austriaco Alfred Adler “guardare con gli occhi dell’altro, ascoltare con le orecchie dell’altro e sentire con il cuore dell’altro”.
Sapersi mettere nei “panni dell’altro” è un cammino che nasce da un atto di coraggio, di fede, d’amore, che ci aiuta ad imparare ad essere più tolleranti e comprensivi con gli altri.
Imparare a mettersi nei “panni dell’altro” però a volte non solo indispone il nostro interlocutore, ma può anche generare in noi rabbia interiore, che ci isola in un permanente stato di confronto e irritazione che spesso finisce per trasformarsi in scoraggiamento. Lo psicologo Daniel Goleman dice: “se non hai empatia ed efficaci relazioni personali non importa quanto tu sia intelligente, non sarà possibile andare molto lontano nella vita”.
Un esercizio concreto di questo processo è sospendere il giudizio verso gli altri, cercare di non giudicare in modo superficiale, senza prima analizzare i diversi punti di vista o le ragioni di un determinato comportamento.
Proviamo a metterci nei panni degli altri… e vivremo in un mondo migliore.