Le parole del Papa continuano a risuonare nel cuore di José Antonio: “Nessuno di voi, pertanto, si rinchiuda nel passato! (…) La storia che inizia oggi, e che guarda al futuro, è ancora tutta da scrivere, con la grazia di Dio e con la vostra personale responsabilità”.
José Antonio, come ti senti per essere venuto a Roma in qualità di detenuto?
Mi ritengo fortunato per aver ricevuto quest’incarico tra tanti prigionieri, e per poter vivere l’Anno della Misericordia a Roma. Sono un detenuto che è stato scelto per andare dal Papa, accompagnato da don Pepe, salesiano, e un funzionario del carcere.
Come hai incontrato Dio in carcere?
Il carcere è un posto duro e molto difficile. Lì noi paghiamo per i nostri crimini. Trascorro nella cella 14-15 ore al giorno, e questo mi ha dato l’opportunità di pensare, pregare e vedere la mia vita da un’altra prospettiva. È in quel luogo che ho trovato Dio, con l’aiuto dei sacerdoti, con l’aiuto di don José González che ci visita, che celebra la messa per noi, parla con noi, ci confessa.
E come vedi l’aiuto dei sacerdoti salesiani?
Sono felice di aver incontrato don Pepe. La sua presenza, il suo affetto da amico, la sua capacità di ascoltare e quella di tutti i sacerdoti mi hanno aiutato a sopportare questa dura realtà.
Quale messaggio vorresti dare ai giovani?
Che si lasciano accogliere tra le braccia di Gesù. Sappiamo che i percorsi sbagliati ci conducono al carcere e lì dobbiamo pagare per il male che facciamo, com’è successo a me, ma dobbiamo avere fede e soprattutto speranza perché il carcere è una condizione passeggera. Un giorno sarò libero e sto provando ad essere migliore a partire proprio da quel luogo.
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