Italia – Formazione Professionale, Stage aziendali, sicurezza: la parola a don Bonalume

(ANS – Roma) – La morte dello studente 16enne Giuseppe Lenoci, vittima di un incidente stradale, a pochi giorni dalla tragedia di Lorenzo Parelli, 18enne ucciso in fabbrica da una lastra di acciaio, ha riacceso il dibattito sull’opportunità di far svolgere agli studenti esperienze di formazione in azienda e sul livello di sicurezza di questi stage. E, puntuali, si sono ripetute le manifestazioni che hanno chiesto l’abolizione dell’alternanza scuola-lavoro e di qualsiasi altra attività che veda gli studenti a stretto contatto con il mondo delle imprese. Una visione miope che, come spiega don Fabrizio Bonalume, Direttore Generale del Centro Nazionale Opere Salesiane – Formazione e Aggiornamento Professionale (CNOS-FAP), non tiene conto della ricchezza di questi percorsi. Che i Salesiani, a partire da San Giovanni Bosco, portano avanti da oltre un secolo e mezzo e costituiscono una grande opportunità soprattutto per i figli delle famiglie disagiate, economicamente e socialmente.

Direttore, qual è il valore della formazione professionale in Italia?

In Italia abbiamo un dato di dispersione scolastica molto elevato, ma nelle regioni nelle quali sono presenti i percorsi di Istruzione e Formazione Professionale questo dato decresce sensibilmente. Siamo tutti consapevoli che esistono varie tipologie di apprendimento e che non tutti i giovani hanno la stessa attitudine ad apprendere attraverso lo studio teorico fatto su un testo, ma che dimostrano una forte capacità ad apprendere sperimentando il lavoro. Ci sono anche altre difficoltà oggettive che bisogna ricordare, come per esempio le difficoltà linguistiche di tanti stranieri giunti da poco in Italia che di fronte a lezioni frontali sarebbero come un muro di gomma, o le difficoltà economiche di tante famiglie. Sono molti i ragazzi che arrivano a frequentare i nostri corsi triennali/quadriennali dopo aver avuto insuccessi scolastici e una delle soddisfazioni più grandi che provano i loro formatori è quella di veder rinascere l’autostima in questi ragazzi quando si accorgono di aver imparato a realizzare qualcosa con le proprie mani.

Che rapporti ci sono tra i Centri di formazione e le imprese?

Un punto di forza della Formazione Professionale è proprio il rapporto con le imprese che indicano le qualità richieste ad un giovane perché possa riuscire nel mondo del lavoro. Le aziende sottolineano innanzitutto l’importanza delle soft-skills, le competenze trasversali, l’indispensabilità di sapersi rapportare con gli adulti e l’entusiasmo di imparare sempre meglio un lavoro.

Come sono organizzati gli stage aziendali?

Durante i periodi di stage i ragazzi hanno la possibilità di far crescere tutte queste competenze. Dopo aver fatto esperienza nei laboratori del Centro di formazione professionale e aver frequentato ore di sicurezza, sia di base, che quella relativa ai rischi specifici, il giovane ha la possibilità di approcciarsi al contesto lavorativo con l’affiancamento di un lavoratore esperto che conosce i pericoli presenti in azienda. Questo permette al ragazzo di crescere con un “professore personale” messo al suo fianco, cosa impensabile nei laboratori scolastici. Il ragazzo inoltre ha la possibilità di familiarizzare con tecnologie non sempre presenti all’interno dei Centri di Formazione Professionale.

Questo “ponte” tra scuola e lavoro funziona?

La nostra esperienza ci insegna che il 92% degli allievi ad un anno dal termine del percorso è inserito nel mondo del lavoro o ha ripreso il percorso d’istruzione e formazione, che circa il 40% di questi trova lavoro e che più del 30% lo trova presso l’azienda in cui ha fatto l’esperienza di stage.

Gli studenti chiedono più sicurezza: come intervenire?

La tragedia della morte di Lorenzo e di Giuseppe, ci fa riflettere sulla sicurezza dei luoghi di lavoro. È necessario far crescere la cultura della sicurezza e questo è quello che la Formazione Professionale ha fatto in questi anni. I ragazzi che frequentano questi corsi entrano in un’azienda conoscendo praticamente i macchinari, vedendo i pericoli che questi nascondono e affrontandoli come già nei laboratori avevano fatto concretamente, e non solo teoricamente sui libri. Se l’esperienza in azienda non esistesse i ragazzi sarebbero assunti direttamente come apprendisti, affiancati sì ad un operaio (magari anche non esperto), ma subito col compito di produrre.

Il problema della sicurezza si riproporrebbe immediatamente.

C’è, però, chi considera l’alternanza uno sfruttamento da parte delle aziende...

Se l’alternanza è fatta bene e quindi assicura la presenza del tutor aziendale, dobbiamo ricordarci che questo operaio esperto renderà di meno per l’azienda, avendo anche il compito di formare il ragazzo. Certo l’azienda può conoscere il ragazzo e magari a lungo termine avere un ritorno positivo, avendo già individuato una potenziale risorsa da inserire in organico, ma durante lo stage è più probabile che l’azienda ci rimetta.

Paolo Ferrario

Fonte: Avvenire

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