di Gian Francesco Romano
L’incontro ha avuto inizio verso le 18 circa, in Vaticano. Presenti per l’occasione il Vicario del Rettor Maggiore, don Francesco Cereda – in rappresentanza del Rettor Maggiore, ieri ancora impegnato nella visita a Malta – alcuni Salesiani della comunità vaticana e della Casa Generalizia, e soprattutto don Thomas Anchukandam, già professore di don Uzhunnalil, che quand’era Superiore dell’Ispettoria di Bangalore ne autorizzò l’invio missionario in Yemen.
Il saluto è stato sin da subito fraterno: don Uzhunnalil è stato omaggiato con la “ponnada”, l’abito tradizionale indiano che viene consegnato agli ospiti di riguardo, ed ha ricevuto gli abbracci commossi di tutti i presenti. Da parte sua il missionario indiano non ha fatto che ripetere parole di ringraziamento, in primo luogo verso Dio e la Madonna.
Una delle sue prime richieste è stata quella di poter pregare nella cappella della comunità salesiana in Vaticano. Avrebbe anche voluto celebrare subito dopo la messa, ma a motivo delle necessarie visite mediche è stato costretto a rimandare il compimento di questo suo desiderio. Ciononostante, prima dell’arrivo del personale sanitario, ha chiesto di essere confessato, dato che ovviamente durante tutto il tempo della prigionia ciò non gli era stato possibile.
Diverso, invece, il discorso per l’Eucaristia. Nel corso della serata di festa che gli è stata offerta dalla comunità salesiana, arricchita da cibi tradizionali indiani, don Uzhunnalil ha raccontato che durante tutto il periodo del suo sequestro ha continuato a celebrare spiritualmente la messa ogni giorno, ricordando a memoria le letture e le parti della messa, dato che non aveva a disposizione né i testi liturgici, né le specie per celebrare.
Don Uzhunnalil è apparso tranquillo e disponibile, e senza soffermarsi sui dettagli ha risposto alle domande dei confratelli. Ha confermato che quando gli assalitori lo hanno rapito si trovava nella cappella della comunità delle Missionarie della Carità di Aden; quindi ha raccontato che dopo il sequestro non è mai stato maltrattato e che a seguito del suo rapido dimagrimento i rapitori hanno anche iniziato a fornirgli i farmaci per il diabete di cui aveva bisogno.
Praticamente durante tutto il periodo della prigionia, tuttavia, ha avuto addosso gli stessi vestiti; con i suoi rapitori – che parlavano arabo – comunicava con un po’ d’inglese; e durante il sequestro è stato trasferito due o tre volte, ma in tali circostanze era sempre bendato.
“Non ho mai pensato di poter essere ucciso”, ha affermato il missionario, che ha anche ricordato un episodio avvenuto il 3 marzo 2016, la sera prima della strage: la Direttrice della casa delle Missionarie della Carità di Aden, commentando la difficile situazione in cui si trovavano come religiosi in territorio di guerra, aveva manifestato che sarebbe stato bello essere martirizzati tutti assieme per Cristo. Ma la più giovane delle religiose – che poi è sopravvissuta all’attacco – le aveva risposto: “io voglio vivere per Cristo”.
Attualmente don Uzhunnalil resta ospitato nella comunità salesiana del Vaticano. La Congregazione Salesiana ha preso tale decisione ritenendola il luogo più adatto per assicurare la sua tutela e permettere un suo completo recupero.
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