Se ciascuno è chiamato alla santità, pochissimi sono pertanto coloro di cui questa santità possa essere certificata. Particolari processi – di beatificazione e di canonizzazione – si occupano di individuarne e valutarne la santità: lo fanno attraverso specifici metodi, che affidano alla mediazione umana, necessariamente limitata, la volontà di definire le condizioni della vita beata (cioè felice) e d’identificare chi ormai la sperimenti.
Le Cause dei Santi allora, di cui in questo libro ricostruisce la prassi (spiegando come funzionano, chi se ne occupa…), attestano una dimensione anzitutto antropologica: raccontano chi siano gli uomini e le donne “felici”, che sperimentano la pienezza dell’umano e la vivono, come diceva Edith Stein, “per tutti”.
Santa Rita è detta “santa degli impossibili”: ma non ha mai potuto aiutare se stessa, soffrendo la perdita dei figli e la vedovanza e vedendosi ostacolata nella vocazione religiosa. Padre Pio ha “mani che guariscono”: ma sono mani piagate, che gli attirano sospetti e lo obbligano all’umiliazione di infiniti accertamenti. Karol Woityla fa del proprio pontificato una grande catechesi sulla santità: ma dovrà mostrare la fedeltà a Cristo con la propria malattia resa “pubblica” dai mezzi di comunicazione.
Assolutizzati da tanti, i santi relativizzano se stessi: colgono la Grazia di Dio e l’aiuto altrui, sperimentano le proprie fatiche, denunciano i propri errori.
Le Cause dei Santi dunque certificano sì una specifica prassi giuridico-morale della Chiesa: il libro ne tratta, contribuendo anche a sfatare alcuni falsi miti. Eppure queste Cause parlano soprattutto dell’uomo, all’uomo. In un mondo alla disperata ricerca dell’eccellenza e della perfezione, i santi provano a raccontare che per essere “persone valide” non serve essere le “persone migliori”: solo se stesse, nel bene.
Edizione Dehoniane, 240 pagine.