C’è chi canta inni e chi recita il Rosario. Altri cadono in ginocchio e piangono in preghiera nelle nuove cappelle realizzate sotto gli alberi, dato che lo spazio nel campo è poco. I banchi sono tavole di legno o tronchi scavati nel terreno. “Preghiamo ogni giorno perché vogliamo che Dio ci ascolti e ci perdoni” dice un rifugiato sud-sudanese che fa da catechista in una delle cinque cappelle aperte dai Salesiani a Palabek. “Le sofferenze che attraversiamo avranno termine un giorno, perché Dio interverrà” afferma.
Circa 34.000 rifugiati sud-sudanesi vivono a Palabek. La pastorale realizzata dai Salesiani nelle cinque cappelle porta speranza e rende più uniti i rifugiati, inclusi quanti hanno avuto delle vittime nelle loro stesse famiglie a causa degli scontri. Le cappelle – dedicate a Don Bosco, Maria Ausiliatrice, alla Santa Croce, san Daniele Comboni e a Madre Teresa – vengono utilizzate per le celebrazioni liturgiche, ma anche come luoghi di aggregazione e vita sociale, soprattutto da parte delle donne e dei bambini.
“Avevamo perso la speranza in Sud Sudan, ma la Chiesa ce la sta restituendo” dichiara una mamma di tre bambini, giunta nel campo ad aprile, dopo che negli scontri le è stato ucciso il marito. “Ho avuto degli incubi in cui rivedevo le persone che venivano uccise. La Chiesa mi sta aiutando a superare tutto questo, quando prego il Rosario tutti i miei problemi scompaiono”.
I Salesiani sono impegnati ad aiutare i rifugiati attraverso attività di riconciliazione, e insegnando ai rifugiati tecniche agricole e percorsi spirituali per migliorare la loro vita. “Lavoriamo per dare ispirazione e speranza agli sfollati interni, qui e in tutto il mondo – ha affermato il missionario salesiano nominato cappellano presso il campo –. E aiutiamo anche i giovani poveri e le loro famiglie attraverso l’educazione”.
Il Sudan del Sud ha ottenuto la propria indipendenza dal Sudan nel luglio del 2011, dopo decenni di guerra. Ma appena due anni dopo nella neonata nazione, di 11 milioni di abitanti, è iniziato un nuovo conflitto, interno. Decine di migliaia di persone sono morte negli scontri e milioni di persone sono emigrate per sfuggire alle violenze – oltre 1 milione nella solo Uganda, almeno un altro milione in altre aree della regione. Per questo motivo i vescovi cattolici in Uganda hanno invitato i sacerdoti a visitare i campi profughi e ad offrire assistenza pastorale.
Fonte: National Catholic Reporter