RMG – Don Bosco sognatore: il sogno del serpente e del rosario
In evidenza

23 Gennaio 2024

(ANS – Roma) – Molti dei sogni che Don Bosco riportò ai suoi giovani avevano dei fini evidentemente educativi, tanto che molto spesso nemmeno i suoi biografi sono riusciti a demarcare con chiarezza il limite tra sogno, visione e racconto pedagogico. Tra questi si può certamente annoverare quello noto come “il sogno del serpente e del rosario” (Memorie Biografiche di Don Giovanni Bosco – VII 238-243). Avvenuto nell’estate del 1862, è una chiara manifestazione di quanto centrale fosse Maria Ausiliatrice non solo nella vita del santo, ma anche nella sua visione pedagogica; e di come la devozione mariana non fosse mai concepita come un’alternativa, ma semmai come un sostegno, ad una vita sacramentale ed ecclesiale pienamente vissuta.

Nell’introdurre il sogno il biografo di Don Bosco, don Giovanni Battista Lemoyne, parte da un episodio avvenuto anni prima: «Nel febbraio del 1848 il marchese Roberto d’Azeglio, amico personale di Carlo Alberto e senatore del Regno, onorò l’Oratorio di Don Bosco di una sua visita. Il Santo lo accompagnò a visitare tutta la casa. Il marchese espresse la sua viva compiacenza, ma con una riserva: definì tempo perduto quello occupato a recitare il Rosario.

“Lasci – disse – di far recitare quell’anticaglia di 50 Ave Maria infilzate una dopo l’altra”.

“Ebbene – rispose Don Bosco –, io ci tengo molto a tale pratica; e su questa potrei dire che è fondata la mia istituzione; sarei disposto a lasciare tante altre cose pure importanti, ma non questa”. E con il coraggio che gli era proprio soggiunse: “E anche, se fosse necessario, sarei disposto a rinunziare alla sua preziosa amicizia, ma non mai alla recita del S. Rosario”».

Prosegue, dunque, don Lemoyne con la descrizione del sogno:

«A stimolare i giovani ad amare il Rosario era incoraggiato anche dai suoi sogni. Ne citiamo uno. Lo ebbe la vigilia dell’Assunta del 1862. Sognò di trovarsi nella sua borgata natia – oggi Colle Don Bosco - in casa del fratello, con tutti i suoi giovani. Ed ecco che gli si presenta Uno (la solita Guida dei suoi sogni) che lo invita ad andare nel prato attiguo al cortile, e là gli indica un serpentaccio lungo 7-8 metri, di una grossezza straordinaria. Don Bosco inorridisce e vuole fuggire. Ma la Guida lo invita a non aver paura e a fermarsi. Poi va a prendere una corda, ritorna da Don Bosco e gli dice:

– “Prenda questa corda per un capo e la tenga ben stretta; io prenderò l’altro capo e sospenderemo la corda sul serpente”.

– “E poi?”

– “E poi gliela sbatteremo sulla schiena”.

– “Ah! No, per carità! Guai se noi faremo questo. Il serpente si rivolterà inviperito e ci farà a pezzi”.

“Ma la Guida insistette – narra Don Bosco – e mi assicurò che il serpente non mi avrebbe fatto alcun male, e tanto disse che io acconsentii a fare come voleva. Egli intanto alzò la corda e con questa diede una sferzata sulla schiena del rettile. Il serpente fa un salto e volge la testa indietro per mordere ciò che l’ha percosso, ma resta allacciato come in un cappio scorsoio”.

– “Tenga stretto – grida la Guida – e non lasci sfuggire la corda”.

E corse a legare il capo della corda che aveva in mano a un pero vicino; poi legò il capo della corda che tenevo io all’inferriata di una finestra della casa. Frattanto il serpente si dibatteva furiosamente e dava tali colpi in terra con la testa e con le immani sue spire, che le sue carni si laceravano e ne saltavano i pezzi a grande distanza. Così continuò finché non rimase di lui che lo scheletro spolpato.

Morto il serpente, la Guida slegò la corda dall’albero e dalla finestra, la raccolse e la chiuse in una cassetta. Dopo qualche istante l’aprì. Con stupore mio e dei giovani che erano accorsi, vedemmo che quella corda si era disposta in modo da formare le parole: “Ave Maria”.

La Guida spiegò: “Il serpente figura il demonio e la corda l’Ave Maria o piuttosto il Rosario, che è una continuazione di Ave Maria, con le quali si possono battere, vincere, distruggere tutti i demoni dell’inferno”.

A questo punto agli occhi di Don Bosco si presentò una scena ben dolorosa: vide giovani che raccoglievano pezzi di carne del serpente e ne mangiavano e restavano avvelenati.

“Io non sapevo darmi pace – racconta Don Bosco – perché nonostante i miei avvisi, continuavano a mangiare. Io gridavo all’uno, gridavo all’altro; davo schiaffi a questo, pugni a quello, cercando di impedire che mangiassero, ma inutilmente. Io ero fuori di me stesso, allorché vidi tutt’intorno un gran numero di giovani distesi per terra in uno stato miserando”.

Allora Don Bosco si rivolse alla Guida:

– “Ma non c’è un rimedio a tanto male?”

– “Sì che c’è”.

– “Quale sarebbe?”

– “Non c’è altro che l’incudine e il martello”.

– “Come? Debbo forse metterli sull’incudine e batterli col martello?”

– “Ecco — rispose la Guida — il martello significa la Confessione, l’incudine la Comunione: bisogna far uso di questi due mezzi”».

InfoANS

ANS - "Agenzia iNfo Salesiana" - è un periodico plurisettimanale telematico, organo di comunicazione della Congregazione Salesiana, iscritto al Registro della Stampa del Tribunale di Roma, n. 153/2007.

Questo sito utilizza cookie anche di terze parti, per migliorare l'esperienza utente e per motivi statistici. Scorrendo questa pagina o cliccando in qualunque suo elemento, acconsenti all'uso dei cookie. Per saperne di più o negare il consenso clicca il tasto "Ulteriori informazioni".