Il piccolo Oreste nacque nel 1944 ad Arborea, all’epoca “Villaggio Mussolini”, città in cui la sua famiglia era stata confinata dal regime fascista. Eppure, anche da una sopraffazione come questa, sorsero cose positive: “È stato lì che ho conosciuto i salesiani, che erano di una squisitezza eccezionale. Io fui il primo salesiano originario di Arborea, ma in totale di lì siamo usciti in 9 Figli di Don Bosco”.
Dopo la prima formazione salesiana e lo studio della Teologia a Padova, con i frati francescani, tornò nella sua terra, per accompagnare i giovani del Centro di Formazione Professionale salesiana a Selargius. “Rimasi scioccato il giorno in cui partecipai alla prima Messa lì – racconta –: su 400 ragazzi, solo una decina erano andati a ricevere la Santa Comunione. Allora capii che qualcosa doveva cambiare a livello pastorale, e chiesi aiuto ad altri operatori pastorali di altre parrocchie, cominciando a tenere diversi incontri di giovani, dal venerdì alla domenica”.
Lentamente quella situazione andò cambiando: nel periodo natalizio circa 30 ragazzi fecero la Prima Comunione e a Pasqua la fecero tutti gli altri. “L'obiettivo era semplicemente di far sì che quei ragazzi, da lì, potessero seguire normalmente il percorso della vita sacramentale” spiega.
Anche a Cagliari, presso l’opera “San Paolo” don Valle si diede da fare, curando soprattutto la vita parrocchiale e la catechesi dei più piccoli, che venivano formati a centinaia: “Quelli furono gli anni più fecondi della mia vita sacerdotale, prima di partire per le missioni”.
È in quell’epoca, siamo nel 1981, il suo Ispettore gli chiese se voleva partecipare al Progetto Africa. “Me lo disse subito dopo la Messa, ma io avevo capito cosa volesse appena lo vidi. Gli risposi subito di sì, senza nemmeno discutere le condizioni”.
Apprese, dunque, solo dopo, che la sfida non era semplicissima: “Si trattava di prelevare una grossa fattoria, 126 ettari di terra, che era di proprietà della diocesi, per farne una fattoria modello, che potesse servire anche per l’educazione dei giovani, specialmente di un gruppo che si chiamava ‘giovani cattolici malgasci’, molto attivi e molto disponibili ad aiutare”.
Ma il primo contatto non fu affatto facile: “Trovai una realtà veramente disastrosa, ci vollero tre mesi solo per sistemare la casa dove dovevamo vivere. Poi non c’era elettricità, e per 10 anni siamo stati illuminati sempre solo con le candele”. Inoltre, né luì, né i suoi due confratelli inviati con lui avevano le competenze necessarie per realizzare il progetto assegnato.
Tuttavia, in questa circostanza don Valle scoprì anche il valore delle piccole comunità cristiane: “Sono una grazia di Dio perché ci aiutano a condividere la realtà che si vive. Noi dopo le sei ci sedavamo, discutevamo e pregavamo insieme”.
Altre difficoltà sopraggiunsero negli anni a venire, perché dapprima si ammalò uno dei tre salesiani della comunità e poi un sacerdote di una comunità vicina di colpo sparì. Così per don Valle e l’altro suo confratello rimasto il lavoro era davvero tanto. Ma essi lo portarono avanti, estendendo così anche il nome di Don Bosco nella zona e il prestigio dell’azione salesiana, che sul finire di quel decennio arrivò a recuperare anche una zona pastorale lasciata dai gesuiti.
Purtroppo, la vita in missione lasciò il segno anche sulla salute di don Valle, che dovette riparare anche lui in Italia. Ma lo spirito missionario non si era affievolito, e così nel 1991 egli ripartì per l’Albania, appena tornata disponibile all’evangelizzazione dopo il crollo del regime comunista. “Don Michele Gentile, che era già lì, ci inviava delle lettere perché iniziassimo ad imparare l’albanese” ricorda don Valle salesiano anziano, ma mai scoraggiato. Così, dopo un dialogo con l’allora Rettor Maggiore, Don Egidio Viganò, anch’egli partì per il Paese delle Aquile. “Siamo andati senza sapere bene a che cosa andassimo incontro. E le cose non erano facili nemmeno stavolta. Arrivammo e il primo giorno non trovammo nemmeno di che mangiare”.
La fame era condivisa con la popolazione. A tal proposito don Valle racconta un aneddoto significativo: “Una volta, di Giovedì Santo, una suora disse alla gente che avremmo celebrato la Cena del Signore. Così in tanti pensarono che ci sarebbe stato da mangiare, e in chiesa venne una moltitudine di gente che non sapeva nemmeno cosa si stesse celebrando!”.
Nonostante tutte le difficoltà iniziali, alla fine don Valle ha contribuito alla piena realizzazione del progetto per cui i salesiani erano stati mandati in Albania: l’avvio di due presenze nel Paese, a Tirana e a Scutari; e ha fatto anche di più, perché nello spirito di disponibilità che lo ha sempre contraddistinto, ha collaborato per sei anni con le diocesi locali per la gestione di alcune comunità che cambiavano amministrazione.
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