“Sono cresciuto in un villaggio vicino Benjul, dove la vita era molto difficile. Ho visto povertà, ho visto guerre. Nel mio villaggio dovevamo fare molti chilometri a piedi per poter avere l’acqua potabile, anche se la mia Nazione ha un grande fiume. La vita non era semplice. Quasi nessuno di noi andava a scuola.
Insieme ad altri due amici del mio villaggio, abbiamo sentito parlare di altri ragazzi che erano scappati per tentare la fortuna e una vita migliore. Allora un mattino, senza dire niente ai nostri genitori, abbiamo lasciato le nostre case, e abbiamo iniziato questa avventura. Abbiamo lavorato alcuni mesi dentro una risaia, per fare un po’ di soldi e affrontare il viaggio.
Durante il cammino, mentre attraversavamo il deserto insieme ad altre cinquanta persone a bordo di un camion, il mio amico Shamim, a causa del forte caldo e della sete, si è sentito male. Ad un certo punto, l’autista, vedendo il mio amico che non si riprendeva, lo ha preso e lo ha lanciato giù dal camion, abbandonandolo in mezzo a un deserto come un animale.
Quando siamo arrivati in Libia pensavo che il peggio fosse passato, ma io e l’altro mio amico, siamo stati portati in un carcere, dove siamo stati circa 20 giorni. Eravamo in tanti dentro al carcere: piccoli e grandi di tante nazioni diverse. Usciti da quel posto terribile, io e il mio amico, ci siamo messi a lavorare in un deposito di vestiti, per guadagnare qualche soldo utile a pagare il viaggio attraverso il mare per arrivare in Italia.
Prima di salire sul gommone ci hanno chiesto i soldi, ma noi non volevamo darli, perché avevamo paura che anche questa volta saremmo stati derubati e lasciati lì.
Ma quando quell’uomo ha visto che facevamo resistenza, ha preso la pistola ed ha sparato in faccia al mio amico e lo ha ammazzato. Davanti a quella scena, io e tutti i 150 presenti li, presi dalla paura, abbiamo dato i soldi e ci siamo imbarcati.
Dopo circa 10 ore che stavamo sul gommone, si è avvicinata una nave italiana. Quando abbiamo visto la nave, la nostra paura è quasi scomparsa infatti, saliti lì sopra, abbiamo raggiunto Salerno. Dal porto, sono arrivato nella comunità. Erano mesi che non mi lavavo in maniera decente, e non mangiavo qualcosa di caldo e fatto bene.
Ora ho trovato una nuova famiglia, vedo i ragazzi italiani andare a scuola, giocare e vivere con i loro genitori. Sono le cose che spero di fare anch’io, ma vorrei tanto anche aiutare mia mamma e mio fratello che sono del Gambia.
Lì la vita è davvero difficile voi non ci siete mai stati e non sapete com’è vivere in quella nazione, dove ci sono pochi ricchi a tantissimi poveri. Ora la mia vita è bella, grazie a Don Bosco. La mattina andavo a scuola, il pomeriggio studiavo e frequentavo l’oratorio.
La cosa più bella oggi è che da un anno lavoro in una pizzeria di Torre Annunziata. Accolto con grande entusiasmo dallo staff della pizzeria, ho iniziato a svolgere le cose più semplici fino ad apprendere tutti i segreti del mestiere e così ora posso aiutare anche la mia famiglia”.
Di storie come quella di Lamin ce ne sono tante. In Campania i Salesiani accolgono i MSNA nelle Comunità Alloggio di Caserta “Casa Pinardi”; a Torre Annunziata, “Mamma Matilde” e “Peppino Brancati”; Napoli “Il Sogno”; nella Comunità per minori stranieri “Il Ponte” ai Salesiani di Napoli; alcuni sono accolti nella canonica della parrocchia “Santa Maria del Carmelo” di Torre Annunziata e altri ancora vivono insieme ai Salesiani.
In molti oratori si svolgono attività di recupero scolastico, corsi di formazione professionale, centri di ascolto e di mediazione verso ragazzi e giovani stranieri. Gran parte dei ragazzi passati per le comunità salesiane ora si sono integrati nella società locale e lavorano presso pizzerie, ristoranti, negozi.
Anche i ragazzi accolti nelle comunità famiglia dei Salesiani della Campania, italiani e stranieri, hanno partecipato, sabato scorso, 7 luglio, all’iniziativa nazionale promossa dall’ONG “Libera” di don Luigi Ciotti e presso il Lido Mappatella hanno fatto un minuto di silenzio per affermare: “Non sono pericoloso, ma sono in pericolo”.
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