“Per favore, non dimentichiamoci dei poveri!”. L’invocazione con la quale Papa Francesco chiude la sua omelia nella Messa per l’VIII Giornata Mondiale dei Poveri, nella Basilica di San Pietro, è rivolta alla Chiesa, ai Governi degli Stati e alle Organizzazioni internazionali, ma anche “a ciascuno e a tutti”. E ai fedeli in Cristo, il Papa ricorda che “è la nostra vita impastata di compassione e di carità a diventare segno della presenza del Signore, sempre vicino alla sofferenza dei poveri”. Perché la speranza cristiana ha bisogno “di cristiani che non si girano dall’altra parte” e che sentono “la stessa compassione del Signore davanti ai poveri”. Francesco lo sottolinea ricordando un monito del cardinale Martini: solo servendo i poveri “la Chiesa ‘diventa’ sé stessa, cioè casa aperta a tutti, luogo della compassione di Dio per la vita di ogni uomo”.
In una Basilica gremita, con la presenza dei poveri che poi avrebbero pranzato con lui nell’Aula Paolo VI, il Pontefice apre la celebrazione con l’esortazione dell’atto penitenziale: “Con lo sguardo fisso su Gesù Cristo, fattosi povero per noi e ricco di amore verso tutti, riconosciamoci bisognosi della misericordia del Padre”. Il celebrante all’altare è l’Arcivescovo Rino Fisichella, pro-prefetto del Dicastero per l’Evangelizzazione.
Nell’omelia, Papa Francesco rilegge il brano del Vangelo di Marco, nella liturgia di questa XXXIII domenica del Tempo Ordinario, con le parole di Gesù ai discepoli prima della sua passione, che descrivono “lo stato d’animo di chi ha visto la distruzione di Gerusalemme” ma anche lo straordinario arrivo del Figlio dell’uomo. “Proprio quando tutto sembra crollare, Dio viene, Dio si fa vicino, Dio ci raduna per salvarci. Gesù ci invita ad avere uno sguardo più acuto, ad avere occhi capaci di “leggere dentro” gli avvenimenti della storia, per scoprire che, anche nelle angosce del nostro cuore e del nostro tempo, c’è un’incrollabile speranza che brilla”.
In questa Giornata Mondiale dei Poveri, allora, il Papa invita a soffermarsi sulle due realtà, “angoscia e speranza, che sempre si sfidano a duello nel campo del nostro cuore”. Inizia con l’angoscia, così diffusa nel nostro tempo, “dove la comunicazione sociale amplifica problemi e ferite rendendo il mondo più insicuro e il futuro più incerto”. Se il nostro sguardo, sottolinea, “si ferma soltanto alla cronaca dei fatti, dentro di noi l’angoscia ha il sopravvento”, perché anche oggi, come nel brano del Vangelo, “vediamo il sole oscurarsi e la luna spegnersi, vediamo la fame e la carestia che opprimono tanti fratelli e sorelle, vediamo gli orrori della guerra e le morti innocenti”. E corriamo il rischio di “sprofondare nello scoraggiamento e di non accorgerci della presenza di Dio dentro il dramma della storia”. Condannandoci così all’impotenza.
Vediamo crescere attorno a noi l’ingiustizia che provoca il dolore dei poveri, ma ci accodiamo alla corrente rassegnata di coloro che, per comodità o per pigrizia, pensano che “il mondo va così” e “io non posso farci niente”. Allora anche la stessa fede cristiana si riduce a una devozione innocua, che non disturba le potenze di questo mondo e non genera un impegno concreto nella carità.
Francesco cita la sua Esortazione Apostolica Evangelii Gaudium per ricordare che, “mentre le disuguaglianze crescono e l’economia penalizza i più deboli, mentre la società si consacra all’idolatria del denaro e del consumo”, succede che “i poveri e gli esclusi non possono fare altro che continuare ad aspettare”. Ma nel quadro apocalittico appena descritto nel Vangelo, Gesù “accende la speranza”, descrivendo l’arrivo del Figlio dell’uomo “con grande potenza e gloria”, per radunare “i suoi eletti dai quattro venti”.
Così “allarga il nostro sguardo perché impariamo a cogliere, anche nella precarietà e nel dolore del mondo, la presenza dell’amore di Dio che si fa vicino, non ci abbandona, agisce per la nostra salvezza”. Gesù, ricorda il Pontefice, sta indicando “anzitutto la sua morte che avverrà di lì a poco”, ma anche “la potenza della sua risurrezione” che spezzerà le catene della morte, “e un mondo nuovo nascerà dalle macerie di una storia ferita dal male”. Gesù ci consegna questa speranza attraverso la bella immagine della pianta del fico: “quando ormai il suo ramo diventa tenero e spuntano le foglie, significa che l’estate è vicina. Allo stesso modo, anche noi siamo chiamati a leggere le situazioni della nostra storia terrena: laddove sembra esserci soltanto ingiustizia, dolore e povertà, proprio in quel momento drammatico, il Signore si fa vicino per liberarci dalla schiavitù e far risplendere la vita”.
E questo si fa, spiega, “con la nostra vicinanza cristiana, con la nostra fratellanza cristiana. Non si tratta di buttare una moneta sulle mani di quello che ha bisogno. A quello che dà l’elemosina io domando due cose: “Tu tocchi le mani della gente o butti la moneta senza toccarle? Tu guardi negli occhi la persona che tu aiuti o guardi da un’altra parte?”.
Tocca a noi, suoi discepoli, prosegue Papa Francesco, grazie allo Spirito Santo, seminare questa speranza nel mondo. “Siamo noi - e qui cita la sua Enciclica Fratelli Tutti - che possiamo e dobbiamo accendere luci di giustizia e di solidarietà mentre si addensano le ombre di un mondo chiuso. Siamo noi che la sua Grazia fa brillare, è la nostra vita impastata di compassione e di carità a diventare segno della presenza del Signore, sempre vicino alla sofferenza dei poveri, per lenire le loro ferite e cambiare la loro sorte”.
Non dimentichiamo, è l’invocazione del Papa, che la speranza cristiana, “che si è compiuta in Gesù e si realizza nel suo Regno, ha bisogno di noi e del nostro impegno, di una fede operosa nella carità, di cristiani che non si girano dall’altra parte”. E qui ricorda lo scatto di un fotografo romano a quella coppia di adulti che uscendo dal ristorante, guardavano dall’altra parte per non incrociare lo sguardo di “una signora povera, sdraiata sul pavimento, che chiedeva l’elemosina. Questo succede ogni giorno. Domandiamoci noi: io guardo da un’altra parte quando vedo la povertà, le necessità, il dolore degli altri?”
Francesco, quindi, cita un teologo del Novecento, Metz, quando diceva che la fede cristiana deve generare in noi una “mistica dagli occhi aperti”: “non una spiritualità che fugge dal mondo ma, al contrario, una fede che apre gli occhi sulle sofferenze del mondo e sulle infelicità dei poveri, per esercitare la stessa compassione di Cristo. Io sento la stessa compassione del Signore davanti ai poveri, davanti a coloro che non hanno lavoro, che non hanno da mangiare, che sono emarginati dalla società?”
E, prosegue Papa Francesco, “non dobbiamo guardare solo ai grandi problemi della povertà mondiale, ma al poco che tutti possiamo fare ogni giorno. Con i nostri stili di vita, con l’attenzione e la cura per l’ambiente in cui viviamo, con la ricerca tenace della giustizia, con la condivisione dei nostri beni con chi è più povero, con l’impegno sociale e politico per migliorare la realtà che ci circonda”. Così, “il nostro poco sarà come le prime foglie che spuntano sull’albero di fico: un anticipo dell’estate ormai vicina”.
In conclusione, il Papa ricorda un monito del cardinale Carlo Maria Martini, quando disse “che dobbiamo stare attenti a pensare che c’è prima la Chiesa, già solida in sé stessa, e poi i poveri di cui scegliamo di occuparci. In realtà, si diventa Chiesa di Gesù nella misura in cui serviamo i poveri, perché solo così ‘la Chiesa diventa sé stessa’, cioè casa aperta a tutti, luogo della compassione di Dio per la vita di ogni uomo. Lo dico alla Chiesa, lo dico ai Governi degli Stati e alle Organizzazioni internazionali, lo dico a ciascuno e a tutti: per favore, non dimentichiamoci dei poveri”.
Prima della Messa, simbolicamente Papa Francesco aveva benedetto 13 chiavi, che rappresentano i 13 Paesi in cui la “FamVin Homeless Alliance” (FHA), della Famiglia Vincenziana, con il Progetto “13 case” per il Giubileo, costruirà nuove abitazioni per persone disagiate. Tra questi Paesi c’è anche la Siria, le cui 13 case saranno finanziate direttamente dalla Santa Sede come gesto di carità per l’Anno Santo. Un atto di solidarietà reso possibile grazie alla generosa donazione da parte di UnipolSai, che con entusiasmo ha voluto contribuire in vista dell’Anno Santo a questo segno di speranza per una terra ancora martoriata a causa della guerra.
Infine, al termine della Messa e dopo la recita dell’Angelus, il Papa ha inoltre pranzato in Aula Paolo VI insieme a 1.300 poveri. Il pranzo, organizzato dal Dicastero per il Servizio della Carità, è stato offerto quest’anno dalla Croce Rossa Italiana ed è stato allietato dalla loro Fanfara Nazionale. Al termine del pranzo a ciascuna persona è stato distribuito uno zaino offerto dai Padri Vincenziani (Congregazione della Missione), contenente dei viveri e dei prodotti per l’igiene personale.
Alessandro Di Bussolo
Fonte: Vatican News