Mentre vi scrivo ho negli occhi e nel cuore la visita di diciotto giorni che ho vissuto in Sierra Leone, dove ho potuto incontrarmi con alcune delle nostre autentiche ragioni di profonda felicità: i ragazzi raccolti dalle strade, le bambine liberate dallo sfruttamento sessuale che le incatenava, i ragazzi e i giovani orfani a causa di Ebola. Vederli tutti nella casa salesiana di Freetown, e vedere come le loro vite avessero ora un nuovo orizzonte, mi faceva provare la stessa gioia che provava don Bosco a Valdocco e Maria Mazzarello a Mornese con i loro primi ragazzi.
Visitando il carcere giovanile della capitale, in un incontro con il dieci per cento dei detenuti (160 su 1.600), dei quali più di 1200 giovani tra i 18 e i 25 anni, provavo i sentimenti di don Bosco alla “Generala” di Torino.
Quando ad Accra, capitale del Ghana, incontrai le nostre sorelle Fma con i ragazzi raccolti nella loro casa e nel “Don Bosco” i bambini e gli adolescenti vittime dei trafficanti di vite umane, non potei fare a meno di commuovermi e ringraziare il Signore che ci dona la grazia come Famiglia Salesiana di essere un raggio di luce in mezzo a tante tenebre.
A Mecanisa, Addis Abeba (Etiopia), incontrando i 500 bambini che ogni giorno da noi possono mangiare e frequentare la scuola e salutando i ragazzi recuperati dalle strade che stavano imparando un mestiere o i 28 che arrivano ogni giorno dalla strada per alimentarsi, stare con degli amici e con i salesiani per decidere se tornare alla vita randagia o far parte dei giovani allievi della casa, il mio cuore batteva all’unisono con quello di don Bosco che certamente sosteneva tutto questo insieme a Gesù, che continua a chiederci di andare incontro ai più poveri.
Per questo, cari fratelli della nostra famiglia e amici di don Bosco, vi ripeto ancora una volta la mia convinzione che sono i più poveri la ragione della nostra esistenza come Famiglia Salesiana nella Chiesa e la dedizione a loro la ragione delle nostre vite.
Sono convinto che è preziosa la testimonianza di tanti confratelli che danno la vita ogni giorno con vera passione educativa ed evangelizzatrice a favore dei giovani; sono convinto che sono tante le presenze salesiane che guardano con predilezione ai più poveri.
Rendo grazie al Signore per questo e vi ripeto: Fratelli e sorelle, dobbiamo "andare più in là". Dobbiamo avere tutti un cuore come quello del Buon Pastore, come quello di Don Bosco, dei santi e delle sante di questa famiglia religiosa che mira a dare il meglio di sé in favore dei giovani. Dobbiamo unire questo nostro impegno a quello di tutte le persone di buona volontà.
Papa Francesco dice nel messaggio ai religiosi: "Svegliate il mondo, illuminandolo con la vostra testimonianza profetica e controcorrente".
Penso veramente che il metodo salesiano per illuminare il mondo in maniera profetica e controcorrente è ben radicato in tutti noi e in tutte le nostre case. E non abbiate il minimo dubbio che vivendo e lavorando così, anche senza necessità di parole, il messaggio è interpellante e con grande forza testimoniale; e non dubitate: vivendo così non mancheranno i mezzi per arrivare ai più poveri. Ricordiamo la solida fiducia di Don Bosco nella Divina Provvidenza.
Se è così, che cosa ci resta ancora da fare? La risposta è continuare questo cammino di ascesa finché a ogni salesiano, a ogni Figlia di Maria Ausiliatrice, a ogni Laico della Famiglia Salesiana di ciascuno dei trenta gruppi che oggi formano questo grande albero germogliato da carisma di don Bosco, rincresca nel profondo dell’anima di non soccorrere ogni ragazzo o ragazza povera che ha bisogno di noi. Se il nostro cuore sente questo, troveremo sempre soluzioni e sempre saremo molto fedeli alla scelta preferenziale dei giovani più poveri.
Nella Evangelii Gaudium il Papa cita un Padre della Chiesa, San Giovanni Crisostomo, che dice: "Non condividere i propri beni con i poveri significa derubarli e privarli della vita. I beni che possediamo non sono nostri, ma loro".
Il Papa ci richiama la globalizzazione della indifferenza che rende incapaci di provare compassione dinanzi al grido di dolore degli altri, in una cultura del benessere che ci anestetizza (EG 54). Con grande forza richiama la nostra attenzione alla cultura dello "scarto" alla quale socialmente abbiamo dato inizio, nella quale gli esclusi non sono "sfruttati" ma rifiuti, "avanzi" (EG 53).
Alla luce di questa espressione pure fondamentale ed essenziale del nostro carisma, vi dico, amiche ed amici che in questa direzione non dobbiamo preoccuparci per la identità della nostra missione e per la nostra fedeltà. Siamo sulla buona strada.
Vi benedico tutti, perché il Signore continui a riempire la nostra vita con quella pienezza che VIENE SOLO DA LUI.