L’intervento del Consigliere ha occupato la prima parte della mattinata. Il tempo di lavoro era stato preceduto da un momento di preghiera in cui si era riconosciuto come “solo Dio ci conosce pienamente”. Quindi don Attard ha offerto una visione delle proposte che la Congregazione è andata sviluppando su Pastorale Giovanile e Famiglia, dal Capitolo Generale Speciale (CGS) del 1971 fino ai giorni nostri.
“La famiglia è il luogo della prima educazione” e, in questo senso, ha sottolineato don Attard che “il compito delle nostre comunità è cercare di mantenere con i genitori una collaborazione e una profonda comprensione della responsabilità e dell’azione comuni: l’educazione del giovani”. E ha poi aggiunto: “La Pastorale Giovanile senza famiglia non è un’autentica esperienza pastorale”.
Durante la sua presentazione e il suo lungo viaggio attraverso i documenti della Congregazione e le Lettere dei Rettori Maggiori (D. Egidio Viganó, D. Pascual Chávez e D. Ángel Fernández Artime), don Attard ha evidenziato tre concetti ripetuti: partecipazione; direzione pastorale; formazione e accompagnamento – quest'ultimo definito chiaramente come accompagnamento vocazionale che, “coinvolgere la famiglia, come primo luogo di crescita vocazionale (...) qualcosa che non sempre abbiamo saputo fare”.
La sfida che dobbiamo affrontare
Per arrivare alla proposta fatta da don Attard, durante tutto il periodo precedente il Congresso, è stata realizzata un'analisi della realtà in tutto il mondo salesiano, sulalla percezione del matrimonio e della famiglia, la pedagogia e l’integrazione di tutto il lavoro pastorale e i modelli di accompagnamento.
In diversi momenti il Consigliere ha evidenziato come la formazione debba essere “maggiore e migliore”, sottolineando che, in un contesto religiosamente, socialmente e sessualmente pluralistico è necessario un accompagnamento più qualificato. Ha sottolineato che, in questo momento di crisi “orizzontale e verticale, che influenza il senso della presenza degli altri e di Dio”, è importante proporre lo spirito di famiglia come “categoria esistenziale”.
E, ha concluso, la Pastorale Giovanile “non è un’attività, ma piuttosto un processo” che deve essere integrato nel progetto ispettoriale.
Don Attard ha concluso la sua presentazione sottolineando l’orizzonte verso cui camminare in questo campo, sottolineando l’importanza di mettere i giovani al centro della Pastorale Giovanile, proponendo percorsi e processi arricchiti con la riflessione di tutti – con riferimento ai lavori di gruppo programmati in questo congresso – creando ecosistemi educativi e facendo appello al governo e all’animazione per individuare le urgenze pastorali di ogni contesto e quindi offrire delle risposte.
Ha insistito, infine, sull’importanza della “politica dei piccoli passi”: fare poco per volta, ma non smettere di farlo.
Un momento importante del Congresso è stata la presentazione di alcune buone pratiche. Esperienze come il lavoro dei Salesiani a Chennai (India), per l’integrazione dei giovani con l’HIV; o i centri di assistenza familiare a Bratislava, o l’alleanza educativa per accompagnare famiglie e giovani a Torino, diverse esperienze di formazione dei genitori a New Rochelle (USA), Dingli (Malta) o Macao (Cina), o il lavoro con gruppi di genitori a Madrid e il progetto spagnolo “Pastoral in Zapatillas”, composto da un itinerario e diverse schede per vivere la vita cristiana in famiglia, curato dell’editrice Edebé.
La seconda giornata del Congresso Internazionale Salesiano Pastorale Giovanile si è conclusa con la celebrazione eucaristica presieduta da mons. Bruno Forte, arcivescovo di Chieti-Vasto e Segretario Speciale dei due Sinodi dei Vescovi dedicati al tema della famiglia, che, nell’omelia, ha fatto riferimento a Don Bosco come a “un sognatore che ha saputo sognare il sogno di Dio per i giovani”. Il prelato ha anche sottolineato che “ciò che conta non è ciò che ognuno di noi può dare, se non diamo tutto ciò che siamo; Dio non ci chiede nulla di nostro, ma ci chiede noi stessi”.
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