di Clarence Watts, SDB
Come valuti la situazione della gioventù in Europa?
I giovani all’università sono: 47% senza alcuna religione, 33% cristiani, 4% musulmani, 1% ebrei, 1% sikh e 2% indù. Nelle università c’è un’atmosfera molto secolarizzata, ma i giovani sono anche fortemente desiderosi di relazioni autentiche. Il mio ruolo come cappellano è un ruolo educativo, cerco di aiutare le persone a capire che chi ha la fede non sono personaggi strampalati, ma gente aperta alla vita.
I giovani ricercano degli spazi di appartenenza, di trovare la loro strada, un luogo dove sentirsi accolti. Per questo vado anche alla preghiera musulmana e alla preghiera indù: perché lì tu sei insieme a loro, e possono vedere che ci tieni a loro e che preghi con loro.
Sei un appassionato di storia. Com’è nato e come ti ha influenzato quest’interesse?
Da bambino avevamo accesso ad una biblioteca pubblica gratuita e ogni sabato mattina mia madre mi accompagnava a prendere libri in prestito e a leggerli. Era un ottimo modo di trascorre il sabato mattina! Mi piacciono le storie e mi piace la storia; penso che sia scritto nel mio DNA questo amore. Il popolo scozzese, da cui discendo, ha una passione per la condivisione di storie, simile ai Celti. “Se mi fai una domanda, finirò per raccontarti una storia” è un nostro motto.
Il mio Maestro dei Novizi, don Martin McPake, mi fece interessare alla ricerca storica e cinque anni dopo la mia ordinazione già insegnavo Storia al seminario. Poi ho conseguito il dottorato con una ricerca su “La storia dei Salesiani in Inghilterra”. La storia non è solo un insieme di storie, riguarda la vita delle persone. I Salesiani sono bravi a fare la storia, ma spesso non si curano di scriverla.
Cosa ti ha portato in Sudafrica?
Sto scrivendo a proposito di uno dei pionieri della Visitatoria dell’Africa Meridionale, don Ainsworth, che fu il primo Delegato ispettoriale del Sud Africa. Era nato nel 1908, si formò come ingegnere e divenne poi Salesiano. Era una persona molto aperta e leale e di grande saggezza.
Perché è importante preservare la memoria della storia salesiana?
Se non conosci l’albero di cui sei un ramo, rischi di tagliarti via. In altre parole, se non capisci da dove vieni, il pericolo è che pensi di fare qualcosa di nuovo e invece finisci per tagliarti via da tutto l’albero.
E poi è anche una questione di identità. La storia di un’Ispettoria e la storia della Congregazione è una questione di identità. Deve esserci un dialogo tra la situazione attuale in cui vivi e le tue origini. Come ha affermato il Vaticano II: “Sii consapevole del deposito di fede e di come adattarlo ai tempi presenti”. Se finisci per parlare solo di quello che è successo in passato, morirai; ma se parli solo di quello che sta accadendo nel presente, come diventi attuale, sparisci altrettanto velocemente.
La storia ti tiene in contatto con le origini di ciò che stai facendo.