Abebech, ragazza madre etiope che da Zwai è arrivata ad Addis Abeba in cerca di lavoro, è stata accolta col suo bambino dalle Missionarie della Carità, ma poi ha vissuto e studiato taglio e cucito nel “Mary Help College” delle Figlie di Maria Ausiliatrice (FMA) e ora lavora in una azienda di abbigliamento. Herut, migrante eritrea, ha lasciato il campo profughi di Mai-Aini, nel Tigray, ha bussato al centro per rifugiati del “Jesuit Refugee Service” (JRS) nella capitale etiope, e oggi studia da parrucchiera nel centro di formazione del JRS. Samuel, cresciuto sulla strada a Mexico, quartiere di Addis Abeba, ha detto sì a don Angelo Regazzo, che lo ha portato al “Don Bosco Children Center”, e grazie alla formazione dei Salesiani, oggi guadagna 4.000 birr al mese (67 euro, uno stipendio dignitoso in Etiopia) in una fabbrica di borse di pelle, e vive in una casa in affitto con alcuni amici.
Essi sono solo alcuni dei 1.500 partecipanti al progetto pilota avviato alla fine del 2020 ad Addis Abeba dal “Global Solidarity Fund” (GSF), in collaborazione con congregazioni religiose femminili e maschili, con l'obiettivo lavorare insieme ad aziende private e organizzazioni internazionali per rafforzare il loro impegno nel migliorare la vita delle persone vulnerabili.
Il GSF ha sostenuto la nascita di un consorzio che oggi coinvolge cinque congregazioni religiose, coordinate dalla Commissione socio-pastorale dell’arcidiocesi: sono Salesiani di Don Bosco e Figlie di Maria Ausiliatrice, suore Orsoline, Missionarie della Carità e Gesuiti (attraverso il JRS). Ogni congregazione, con le sue specificità, ha un suo ruolo nel creare un percorso che ha permesso a tanti beneficiari di acquisire, con la formazione professionale, competenze per entrare nel mercato del lavoro locale, assunti in un’azienda o avviando una propria microimpresa.
Abebech Tesfaje racconta che aveva un fidanzato, che, quando è rimasta incinta, le ha detto: “Questo non è il mio bambino, puoi ucciderlo”. Ma lei, spiega, ha pensato: “È un dono di Dio. Non lo posso uccidere. Così, quando ho sentito che suore di Madre Teresa potevano aiutarmi, sono andata a chiedere e mi hanno accolto”. Le Missionarie della Carità, nella rete inter-congregazionale, si occupano delle cure sanitarie, soprattutto per le tante donne sfollate dalle zone rurali dell’Etiopia o per la guerra da poco conclusa nella regione del Tigray, ma anche di quelle che vengono espulse dai Paesi arabi del Golfo dove erano emigrate, dopo esperienze traumatiche. Molte arrivano ad Addis Abeba con gravidanze indesiderate o dopo essere state abbandonate dai compagni, le suore le assistono gratuitamente nel parto, e riescono a convincere le giovani che non vorrebbero tenere i figli.
Le madri e i piccoli vengono accolte per alcuni mesi in centri come il “Nigat Center” – una struttura dei salesiani data in uso alle Missionarie della Carità, aperta nell’ottobre del 2022 – e da lì indirizzate, con l’aiuto degli assistenti sociali, per corsi di formazione dalle FMA (design di moda, assistenza domestica o informatica), dai Salesiani (lavorazione del cuoio, falegnameria, design grafico, saldatori, elettricisti e tipografi), dalle suore Orsoline (produzione di abbigliamento) o dal Jesuit Refugee Service (informatica, ristorazione, parrucchiere e manicure). Alcune di queste congregazioni, come salesiane, salesiani e gesuiti, si occupano dell’inserimento lavorativo dei diplomati e delle diplomate, con il Jrs che ha un’ampia esperienza nel sostegno all’avvio di microimprese.
Al “Mary Help College” le donne vulnerabili hanno studiato o ancora studiano taglio e cucito, assistenza domestica e informatica. Le suore FMA, inoltre, accolgono nel loro asilo i piccoli di allieve ed exallieve. Le donne che si formano da loro sono molto richieste dalle tante aziende di abbigliamento di Addis Abeba, come ci conferma Lydija Worku, titolare di Emmanuel Garment. “Chi si forma al ‘Mary Help College’ ha molte competenze di eccellenza – ci spiega - per questo ci siamo uniti alle suore Salesiane in questo progetto. Abbiamo già assunto nove dipendenti formate grazie al progetto, ma ne avremmo bisogno almeno di 40”.
Dal “Don Bosco Children Center”, infine, parla Samuel Dejene, diciannovenne che viveva per strada prima che don Regazzo, l'Economo del centro, “che va ogni giorno dai bambini di strada, mi incontrasse e mi dicesse: ‘vieni con me a vedere quello che stiamo facendo’. Mi ha portato qui e ho seguito per un mese il programma ‘Vieni e vedi’”. Dopo quel primo contatto, Samuel ha deciso di frequentare il corso per il taglio del cuoio, e da poco più di un mese lavora in un’azienda, grazie all’aiuto del responsabile del collocamento dei Salesiani.
Nel centro San Michele, che ospita gli uffici della commissione socio-pastorale dell’arcidiocesi di Addis Abeba, i responsabili delle diverse congregazioni coinvolte nel progetto si riuniscono per valutare come passare da una fase sperimentale ad una più stabile. È stato anche firmato un accordo con una banca e un’altra istituzione finanziaria per fornire microcrediti ai migranti che vogliono avviare un’attività autonoma. E’ stato creato il polo unitario per la formazione, il polo per l'inserimento lavorativo, quello per la creazione di posti di lavoro e l'autoimpiego. Ma anche il polo sanitario. Si tratta di un progetto importante, perché salva vite di tanti giovani e donne. Nella prossima fase, che si pensa triennale, con l’aiuto del GSF si spera di arrivare a formare 10 mila persone.
Fonte: Vatican News