Secondo l’ultimo rapporto dell’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (UNHCR, in Inglese) il numero di persone fuggite da guerre, persecuzioni e violenze nel mondo ha raggiunto i 65,3 milioni a fine 2015: 21,3 milioni di rifugiati all’estero, 3,2 milioni di persone in cerca di asilo, e 40,8 milioni di sfollati all’interno del proprio paese. Circa la metà sono bambini.
“I rifugiati sono persone come tutti, ma alle quali la guerra ha tolto casa, lavoro, parenti, amici. Le loro storie e i loro volti ci chiamano a rinnovare l’impegno per costruire la pace nella giustizia. Per questo vogliamo stare con loro: incontrarli, accoglierli, ascoltarli, per diventare insieme artigiani di pace secondo la volontà di Dio” ha detto Papa Francesco ieri, domenica 19 giugno, dopo l’Angelus domenicale.
Incontrare, accogliere e offrire opportunità ai rifugiati è quello che fanno nel nome di Don Bosco, tante persone al mondo. Lo fanno in situazioni di emergenza, come è avvenuto in passato in Repubblica Democratica del Congo, Costa d'Avorio e in Repubblica Centrafricana, quando i Salesiani hanno aperto le porte delle loro opere per accogliere migliaia e migliaia di disperati in fuga dagli scontri.
Lo fanno in Siria, tra le bombe e i colpi di mortaio; e nel vicino Libano, dove cerca riparo la maggior parte dei profughi siriani; lo fanno ad Istanbul, in Turchia, dove da 20 anni offrono educazione ai rifugiati di tutto il Medio Oriente; e in Kenya, nel mega-campo profughi di Kakuma; lo fanno in forma diffusa in Italia, Spagna, Austria, Portogallo, Germania, Canada… e in tante altri paesi, dove le comunità accolgono da qualche famiglia fino a decine di rifugiati, provvedendo al loro inserimento socio-lavorativo.
Lo fanno in tutto il mondo, memori delle parole di Gesù: “ero forestiero e mi avete ospitato” (Mt 25,35).