Il segreto di Don Bosco probabilmente era nei suoi sogni. Davanti ad un ragazzo sbandato o senza famiglia, non vedeva quello che vedevano tutti gli altri – un futuro criminale, un buono a nulla… Lui “sognava” l’adulto che quel giovane sarebbe potuto diventare: un maestro di lavoro, con le sue competenze tecniche e le sue qualità umane fiorite. A patto, però, che ci fosse stato prima qualcuno disposto a coltivarle.
I suoi giovani erano sempre al primo posto, non solo nel suo cuore, ma anche nella vita quotidiana. Riportano le cronache che solo per due motivi Don Bosco interrompeva i suoi colloqui più importanti: se lo chiamava il Papa o se un ragazzo aveva dei problemi.
Tra le mille attività cui era dedito – l’oratorio, lo sviluppo della sua opera, i doveri di sacerdote, la carità fatta ai poveri e richiesta ai benefattori… – riusciva però a lasciare sempre dello spazio per il dialogo diretto con i suoi ragazzi. Ascolto, dunque, in primo luogo: delle loro storie e del loro vissuto. E poi un consiglio liberante, una “parolina all’orecchio” che sapeva sciogliere ansie e paure.
Sin da giovane riuscì ad assorbire qualcosa di buono ovunque si trovasse immerso: imparò i trucchi degli acrobati per poter stupire i coetanei, apprese la fatica del lavoro nei campi, seppe imparare anche dalle esperienze dolorose, come frequentare le carceri e assistere i condannati a morte. Tutto ciò lo portò a maturare uno straordinario bagaglio di esperienze che utilizzò nel suo compito di educatore.
In un’epoca in cui molti uomini di Chiesa manifestavano ancora grande distanza verso la povera gente, Don Bosco incarnò la vicinanza, la prossimità, la Chiesa in uscita già allora, che andava alla ricerca degli ultimi e dimenticati: non a caso tutta l’opera salesiana è nata dal suo avvicinarsi con dolcezza ad un giovane monello, Bartolomeo Garelli.
Ancora oggi in tutto il mondo, migliaia di famiglie mandano i loro figli semplicemente “da Don Bosco”. Perché Don Bosco è sempre attuale.