Don Bosco parlava continuamente ai Salesiani di questa virtù e la pose come uno dei fondamenti del suo sistema educativo. Egli voleva che la pazienza fosse al primo posto, quale atteggiamento fondamentale per svolgere adeguatamente il ruolo della direzione o della guida, così come indica nei “Ricordi Confidenziali ai Direttori”: “Niente ti turbi”.
La pratica della pazienza, che spesso diventa autocontrollo della personalità, ciò che all’epoca Don Bosco chiamava “temperanza”, deve avere obiettivi molto specifici e un programma concreto per essere raggiunta. Ad esempio, la pazienza in famiglia ci porterà a conseguire una famiglia equilibrata e felice. La pazienza da un punto di vista religioso ci porterà ad avanzare nel percorso verso la perfezione umana. La pazienza al lavoro ci porterà a migliorarlo. In ciascuna attività darà diversi frutti.
Ma la pazienza è molto difficile da praticare, se non è accompagnata, tra le altre cose, da molta creatività. Non si può essere pazienti senza un significato reale, o per far sì che le cose funzionino. Per essere pazienti e mettere in pratica la pazienza si deve avere un motivo più elevato, come l’amore per Dio o per il prossimo.
Essere pazienti è un lavoro di ogni giorno, che richiede attenzione a piccoli dettagli e agli atteggiamenti. È uscire continuamente da sé e cercare di capire l’altra persona. Se la pazienza non è il frutto dell’amore, non si arriva a vivere con gioia, perché questa virtù richiede costantemente di morire a se stessi.
In famiglia, tra coniugi, tra genitori e figli, la pazienza deve essere messa in pratica, perché è la base della tolleranza verso i sentimenti e verso le azioni degli altri.
Se i genitori non riescono ad essere pazienti, l’educazione dei figli sarà difficile, perderanno la loro fiducia e la capacità di creare un ambiente di rispetto. “Attira più mosche un goccia di miele che un barile di aceto” (San Francesco di Sales).