Colombia – A Cali, dove gli ex bambini-soldato indossano “l’uniforme” di Don Bosco
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20 Ottobre 2021

(ANS – Cali) – In Colombia la guerriglia è iniziata nel 1952 e ha causato oltre 300.000 morti, favorendo al contempo lo sviluppo di potenti cartelli della droga. Al “Centro Don Bosco” di Cali, però, i giovani che hanno conosciuto solo la guerriglia vengono accolti e accompagnati in percorsi di recupero.

Al loro arrivo nella casa salesiana di Cali, i giovani ex-guerriglieri ricevono l’uniforme e gli strumenti che corrispondono al mestiere che hanno scelto di imparare. Hanno sempre indossato l’uniforme, quando appartenevano a uno dei gruppi armati che stanno ancora bloccando il processo di pace in Colombia. Già dall’età di 7-8 anni questi bambini venivano strappati alle loro famiglie e arruolati nelle varie fazioni della guerriglia: costretti a sparare, a lanciare bombe, a diventare servi degli “ufficiali” o, peggio ancora, schiavi sessuali.

Da 20 anni i salesiani hanno creato una struttura specifica per accogliere questi giovani, che quando arrivano sono praticamente privi di un’identità propria, di autostima e di fiducia nel prossimo. Non è facile ricostruire se stessi quando si è conosciuto solo adulti che gridano ordini e leader che non hanno rispetto per i diritti e le leggi. Sono stati costretti a dimenticare le loro famiglie; non hanno conosciuto insegnanti, né educatori. Sono stati obbligati a designare qualcuno della loro famiglia da uccidere perché capissero bene chi comandasse nei territori fuori dall’autorità dello Stato. A volte, minacciati, sono stati costretti a farlo loro stessi. Da quelle caricature di rivoluzionari hanno imparato solo violenza. E al centro Don Bosco, devono anche essere protetti dai giornalisti desiderosi di storie dell’orrore...

Nel centro salesiano, però, insieme agli abiti per i laboratori e libri scolastici, ricevono il riconoscimento della loro identità personale, e passano dalla schiavitù alla libertà. Gli educatori insistono sul loro futuro, per liberare la loro memoria e restituire loro l’anima. Come ripristinare la fede smarrita durante gli anni trascorsi nella boscaglia, evitando di farli sentire in colpa? Come avvicinarli a Dio senza negare il trauma lasciato dai crimini, quando hanno dovuto calpestare la loro coscienza per non impazzire? La sfida decisiva è: perdonare ciò che è stato fatto loro, e perdonare se stessi. È qualcosa che può essere fatto solo attraverso l’esperienza dell’amorevolezza, quella che Don Bosco ha sempre voluto trasmettere ai giovani.

I giovani di Cali trovano un’équipe di professionisti che li aiutano a stabilire un piano di studi e a scegliere una professione. Cinque salesiani sono coinvolti in modo molto concreto nel servizio di 30 adolescenti. I laboratori sono il pilastro dello sviluppo sociale dei giovani, per l’acquisizione di regole di sicurezza nella manipolazione di macchine e prodotti, e per l’apprendimento di abilità concrete. Le specializzazioni offerte sono percorsi verso il futuro: elettricità, meccanica industriale, riparazione di auto o moto, cucina, sartoria, cura della bellezza, saldatura, sistemi informatici, contabilità, biblioteconomia, commercio. E tutto accompagnato dalla ricerca delle loro qualità personali e dallo sviluppo integrale di ogni individuo.

Dalle famiglie, purtroppo, non ci si può aspettare nulla: sono esse stesse vittime delle violenze subite e considerano i loro figli irrecuperabili, o sono esposti alle minacce di bande armate che li considerano traditori. Inoltre, la maggior parte degli ex bambini-soldato proviene da famiglie contadine povere che non possono essere raggiunte a causa delle difficoltà di comunicazione e perché sono costantemente in movimento nelle zone in cui vivono.

Per ragioni di sicurezza, dunque, la vita di questi giovani è vissuta all’interno del centro: i loro nomi non sono stati cancellati dalle liste tenute dai capi della guerriglia, che sono sempre pronti a richiedere i loro servizi o a vendicarsi. I giovani escono solo accompagnati dagli educatori, secondo un programma compatibile con i processi sviluppati internamente.

È necessario riabituarli alle relazioni libere, alla condivisione dei pasti e del tempo libero, in modo che riacquistino il senso delle regole della convivenza. Una volta riacquistata la fiducia in se stessi e grazie ai progressi nella loro carriera professionale, si lasciano persino fotografare.

Durante la pandemia di Covid-19 hanno dovuto rinunciare anche ai piccoli e limitati spostamenti in città, ma si sono resi utili convertendo parte delle loro attività alla produzione di mascherine: un modo per riabilitarsi come cittadini.

Jean-François Meurs

Fonte : Don Bosco Aujourd’hui

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