Quali sono state le sue prime esperienze salesiane?
Ho dedicato tutto il mio tempo ai bambini in difficoltà: nelle carceri, per strada, nei bassifondi... Durante i miei studi ho partecipato alla fondazione della casa salesiana per i bambini di strada a Los Teques, in Venezuela.
Perché ha deciso di diventare missionario?
È qualcosa che sento nel cuore, come un dovere di giustizia. Adesso lavoro in Africa, ma sono stato anche ad Haiti dopo il terremoto del 2010, per aiutare nei campi per gli sfollati e per ricostruire le attività a favore dei bambini di strada. Oggi mi sento a casa tra i miei fratelli e le mie sorelle di Mbuji Mayi, in Repubblica Democratica del Congo.
Quali sono stati gli incontri più soddisfacenti della sua vita?
Sono innumerevoli. Ognuno di questi incontri mi parla di un nome specifico e quasi tutti cominciano con l’accoglienza o la ricerca di un bambino o di un giovane a rischio. È bello incontrare ognuno di loro e vederlo guarire le proprie ferite in breve tempo e recuperare la gioia di vivere, di sentirsi protetti, e impegnarsi a ricostruire la propria vita. Ed è il culmine dell’emozione quando il bambino ritrova la sua famiglia e viene accettato. È un’esperienza che ho sempre vissuto tra le lacrime e la gioia.
E com’è la sua vita a Mbuji Mayi?
Mbuji Mayi è la capitale dello Stato del Kasai Orientale, una regione nota nel mondo per i suoi diamanti, ma purtroppo in Congo è famosa soprattutto per la violazione dei diritti dei bambini. Il 70% dei bambini di strada delle principali città, come Lubumbashi e Kinshasa, sono originari di questa regione e molti sono dovuti fuggire dalle accuse di stregoneria, o dagli abusi o dal traffico di esseri umani.
Qui la maggior parte dei bambini sono accusati di essere streghe o stregoni, e con tale scusa, nella migliore delle ipotesi vengono abbandonati, mentre molti altri subiscono violenze fisiche e persino la morte. Tanti bambini sono soggetti alle varie forme di traffico e sfruttamento, che vanno dallo sfruttamento sessuale al lavoro forzato, soprattutto nelle miniere di diamanti, dove si parla di oltre 15.000 bambini sfruttati, tra cui un 20% di bambine, e un’età media di 10-12 anni. C’è anche il commercio di organi che vengono venduti all’estero.
Da noi i bambini arrivano anche di notte; arrivano da soli o accompagnati da un altro bambino che è già stato qui o da un adulto che conosce il nostro lavoro, o da qualcuno dei servizi sociali, del Tribunale minorile o della Polizia. Noi, poi, facciamo attività anche per la strada e nel carcere minorile.
Cosa offrite ai bambini nelle case salesiane?
Il resto dei bambini e dei giovani che vengono nelle nostre scuole e che partecipano alle attività dell’oratorio e della parrocchia provengono da famiglie povere che non hanno mezzi né per il cibo, né per la scuola o la sanità. Come salesiani, crediamo nell’importanza dell’educazione e della cultura per la promozione umana e come modo per conoscere Gesù. Lo Stato non paga gli insegnanti e per poter gestire la scuola e le altre attività è necessario lavorare molto, quindi passo il mio tempo con i miei confratelli e i volontari a lavorare su come gestire l’intero lavoro e la comunità: abbiamo una scuola elementare, un centro di alfabetizzazione, un centro professionale, un istituto tecnico, una parrocchia, un oratorio e la scuola per i bambini a rischio e quelli in carcere; inoltre siamo presenti anche per le strade e nei mercati dove si trovano i bambini e i giovani abbandonati.
Come sono i giovani?
I giovani che frequentano la nostra opera sono meravigliosi, aperti e franchi. Dicono quello che pensano, sono sensibili e intraprendenti. La maggior parte delle attività sono organizzate e svolte da loro. Ma i giovani qui hanno grandi sfide da superare: il peso delle tradizioni che limita la loro libertà, l’attrazione per il denaro facile, la mentalità creata dallo sfruttamento e dal commercio dei diamanti... Altre grandi sfide qui sono la solidarietà, l’impegno per la giustizia, la capacità di creare lavoro…
Lei si sente a casa qui?
Sì, mi sento a casa. I bambini mi chiamano per nome, altri mi chiamano “padre” e molti mi chiamano “papà”. Molti bambini si sentono più legati a me o a chi si prende cura di loro che alla loro famiglia.
Non hai mai avuto paura?
Sì, certo! Ma sono consapevole che la missione che Gesù ci affida ci mette a rischio ogni giorno, soprattutto per quanto facciamo per salvare i bambini vittime della tratta o accusati di stregoneria. Ecco perché non posso lasciarmi guidare dalla paura o dall’esitazione per il fatto che nella lotta per i diritti dei più deboli possa rischiare la vita.
Quali sono i suoi sogni?
Sogno di poter creare piccole scuole-famiglia, dove soprattutto le madri possano essere educate e sostenute per migliorare la loro economia, la loro indipendenza, la loro dignità e dare una vita e cure migliori ai loro figli. Questo potrebbe aiutare a diminuire il numero dei bambini abbandonati e a cambiare la cultura. Le donne e i bambini possono contribuire positivamente allo sviluppo delle loro comunità. Penso che se ognuno di noi pensasse che il mondo deve essere lasciato più bello e migliore di come lo abbiamo trovato, avremmo un mondo migliore e buono per tutti.
Non portiamo nulla con noi in Cielo, solo il vuoto di coloro che abbiamo amato.