Come per migliaia di ragazzi africani, la storia di Joe inizia in una famiglia molto povera. “Non c'erano abbastanza soldi a casa per sostenerci tutti, perché eravamo in tanti”, racconta. Mentre soffriva per la povertà con i suoi genitori e fratelli, ha avuto la sfortuna di stringere amicizia con altri ragazzi che hanno finito per convincerlo che sarebbe stato meglio senza i suoi genitori. Ed è scappato.
Quando già viveva per strada, Joe si rese conto che quella vita non era così bella come si aspettava. “Ogni giorno dovevamo lottare per sopravvivere”. Ce la facevano ottenuto piccoli lavori, mendicando o rubando. Hanno rischiato la violenza, hanno contratto malattie, o addirittura sono stati arrestati e mandati in carcere con gli adulti.
Quella era la sua vita, finché non ha incontrato i salesiani. “Un giorno una persona venne dal ‘Don Bosco Fambul’. Mi chiese se volevo rimanere per strada o andare a casa”. Joe non sapeva se fidarsi, perché “persone di molte organizzazioni venivano a parlarci, ma alla fine scattavano solo qualche foto e poi se ne andavano”.
Vennero a incontrarlo altre due volte, fino a quando Joe decise di visitare il centro. E quando lo vide, decise di rimanere. “A quel tempo eravamo in tanti, 72”. Nel suo caso, non è stato possibile tornare dai genitori. “Abbiamo trascorso dieci mesi lì, e poi ci è stato chiesto se volevamo continuare a studiare a scuola o fare formazione professionale. Qualunque cosa avessimo scelto, ci avrebbero aiutato per altri due anni”. Così Joe optò per la formazione professionale. “Mi sono preparato per 18 mesi e alla fine mi hanno dato gli strumenti necessari per iniziare a lavorare. Mi sono diplomato il 22 giugno 2002”, ricorda con orgoglio.
Il suo grande sogno è che i bambini di strada “abbiano un futuro migliore. Vivere in questo Paese non è facile. Ma vi dico che essere qui è una grande opportunità e che bisogna lavorare insieme per diventare cittadini liberi, responsabili e amici di Dio. Ogni giorno prego per loro".
Fonte: Alfa y Omega