“Una frase mi ha fatto riflettere quando sono entrato in un incontro formativo con un gruppo di adolescenti di 15-16 anni”, spiega l’Ispettore di MOR. “Non so quale fosse l’argomento di cui stavano discutendo, ma una ragazza ha detto: ‘Qui ci hanno insegnato a vedere il bicchiere mezzo pieno, anziché mezzo vuoto... Però il problema è che il nostro bicchiere non solo è vuoto, ma è proprio rotto’”.
“La frase può sembrare esagerata, o uno sfogo dopo l’esperienza del terremoto. Io, peraltro, non la condivido, ma c’è qualcosa in essa che mi fa riflettere e mi fa entrare in empatia con la situazione esistenziale di questi giovani”, aggiunge don León.
“Sono giovani che non hanno alcun ricordo della loro vita senza la guerra; hanno vissuto per anni senza elettricità, senza acqua, con scarsità di cibo e carburante; hanno vissuto in una città assediata; hanno temuto attacchi con armi chimiche o missili; tutti piangono un familiare morto durante la guerra; vivono in una costante depressione economica (anni di guerra, sanzioni internazionali, l’esplosione del porto di Beirut e il fallimento delle banche libanesi…); hanno vissuto epidemie di colera e l’epidemia di Covid-19. E ora? Un grande terremoto e altri terremoti, almeno quattro, che hanno superato il 6° della scala Richter”, riflette il salesiano.
Erano le 4.17 del mattino del 6 febbraio quando la terra tremò con forza. Il cortile della casa salesiana di Aleppo iniziò a riempirsi di persone che cercavano sicurezza in un’area lontana dagli edifici. Regnavano ansia e incertezza. Il Direttore della “Casa Don Bosco” di Aleppo, don Mario Murru, assicurò sin dall’inizio che “la nostra casa sarà sempre aperta per chi ne ha bisogno”. All’ora di pranzo c’erano già 50 rifugiati nella casa, e a cena erano 300. Tale numero è cresciuto costantemente nei giorni successivi fino a raggiungere le 500 persone. E il 21 febbraio, quando un’altra forte scossa di terremoto ha rinnovato la paura, 800 persone trovavano riparo nella casa salesiana.
I giovani che da anni frequentavano l’opera salesiana, e che sono sempre stati coinvolti in esperienze di campi giovanili, sono diventati così, improvvisamente, i leader naturali nella gestione dell’emergenza. “È stato commovente vedere il rispetto che gli adulti hanno tributato ai giovani... Non perché fossero autorità designate, ma per l’autorità morale acquisita grazie al loro generoso servizio”, continua don León.
“L’amore ci ha fatto superare barriere che nessuno di noi avrebbe potuto immaginare. Per amore dei figli, per amore dei genitori, per amore degli amici, per amore di Dio... In un momento in cui non c’era motivo di sperare in nulla... Si trovavano persone per le quali lottare con speranza e tutti, ricchi e poveri, diventavano bisognosi e condividevano ciò che avevano”, ricorda l’Ispettore.
Non solo ripari e aiuti umanitari; c’erano anche altre ragioni per cui la gente rimaneva con i Salesiani: “Siamo più sicuri nella casa di Dio” dicevano. Dopo qualche tempo, “riconosco che la Casa di Dio ha davvero protetto molti non solo dai terremoti, ma soprattutto dalla solitudine e dalla disperazione, attraverso la celebrazione dell’Eucaristia, ogni mattina, e del Rosario, la sera”, spiega il salesiano.
Il Superiore dei salesiani in Medio Oriente ringrazia tutti coloro “che si sono fatti vicini ai nostri fratelli e sorelle siriani in difficoltà; grazie a tutti coloro che pregano per le vittime, grazie a tutti coloro che in qualsiasi modo aiutano in questa situazione estrema che stiamo vivendo. Un grazie sincero a tutti coloro che, anche attraverso Misiones Salesianas, ci aiutano ad essere al servizio di chi ha più bisogno”.
Fonte: Misiones Salesianas