RMG – Don Costa: “Serve un giornalismo capace di ascoltare, attento alla cosa pubblica e alla verità”

(ANS – Roma) – In occasione dell’uscita del suo ultimo libro “Girovagando tra cronache ed eventi. Quarant’anni di giornalismo”, edito da Nema Press, don Giuseppe Costa, co-portavoce della Congregazione Salesiana, ha dialogato con Avvenire sulla realtà del giornalismo oggi.

Già negli articoli di 20 anni contenuti nel libro emerge il problema del giornalismo sempre più dedito all’intrattenimento e sempre meno all’informazione. La tendenza è peggiorata in questi anni?

Purtroppo, sì, è evidente. C’è stata, non solo in Italia, questa volontà di rendere il giornalismo allettante più gradito alle orecchie del pubblico. Questa ricerca di accontentare gli ascoltatori non ha portato successo, né economico, né di diffusione, mentre salvo esempi positivi, soprattutto nel mondo cattolico, ha ridotto l’attenzione per quello che accade attorno e penalizzato la ricerca della verità e la verifica delle fonti, che invece sono la base di questo mestiere.

È quello che ha ricordato il Papa nel suo Messaggio per la Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali 2022: serve un giornalismo capace di ascoltare, attento alla cosa pubblica e alla verità. Serve un ritorno alle origini.

Questo decadimento è figlio della crisi economica del settore?

Uno degli articoli della raccolta è dedicato alla “solitudine del giornalista”. La concentrazione delle proprietà editoriale e la riduzione dei posti di lavoro hanno reso sempre più difficile per i giornalisti potersi muovere in libertà, secondo coscienza. Sono visibili i risultati di questa situazione: dalle fake news alla cattiva informazione dilagante.

Come se ne esce?

Non abbiamo ricette facili. Sicuramente, per iniziare, bisogna far capire anche al pubblico che non tutto è giornalismo. Fare il giornalista implica impegni precisi, una visione di servizio alla società, ricerca e attenzione al quadro democratico, caratteristiche che non si adattano a figure come gli influencer o gli showmen televisivi. Se non si riesce a capire questa differenza, difficilmente può rigenerarsi un’informazione di qualità.

Che ruolo possono avere le scuole di giornalismo?

Sono molto importanti, ma sono nate in ritardo rispetto, ad esempio, alle esperienze di Francia e Stati Uniti. Per questo non hanno potuto esprimere pienamente attraverso i propri laureati un giornalismo migliore e più qualificato. È auspicabile un rilancio delle scuole, affiancato da un patto con le redazioni.

Una sezione del libro è dedicata alla Sicilia. Quanto la crisi dell’informazione al Sud pesa sulle prospettive del Mezzogiorno?

Pesa moltissimo. Il Sud oggi non ha voci in grado di farsi sentire a livello nazionale, europeo e internazionale. In Sicilia la Regione avrebbe dovuto sostenere queste attività. Nell’Isola la riduzione dell’informazione pubblica, stampata e televisiva, è il frutto e allo stesso tempo un ulteriore fattore del drammatico impoverimento.

Pietro Saccò

Fonte: Avvenire

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