Italia – Al quartiere Barriera di Milano di Torino, i salesiani insegnano la legalità ai giovani vulnerabili
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12 Luglio 2024

(ANS – Torino) – “Ero qui da poco. Un giorno vedo un bambino di nove anni che continua a calciare la palla contro il muro. Gli dico: puoi smetterla per favore? Vai a giocare in campo. Lui si gira e mi fa un gesto con la mano, aprendo e chiudendo le dita. Come a dire: parla, parla…”. A raccontare questo aneddoto è il salesiano don Stefano Mondin, Direttore della Casa salesiana intitolata al Beato Michele Rua, piantata nel mezzo del difficile quartiere torinese di Barriera di Milano.

Don Mondin sorride mentre ricorda la sfida lanciatagli tre anni fa da quel piccolo angelo con la faccia sporca. “Mandai a chiamare sua madre, per capire come comportarmi con lui. Lei mi disse: porti pazienza, ne ho già due in galera”. Un contesto difficile, spesso ostile. “Il 60% di chi finisce in carcere minorile arriva da queste strade – spiega ancora don Stefano – e molti bambini qui pensano che poliziotti e carabinieri siano i cattivi. Allora noi organizziamo la Settimana della Legalità, per far capire loro che non è così. Agenti e militari sono venuti in oratorio e si sono presentati, hanno portato anche cani e attrezzature: alla fine la curiosità ha superato i pregiudizi. Poi c’è stata la partita di calcio fra avvocati e magistrati. Un modo per ridurre le distanze e per comprendere che dentro le istituzioni non ci sono nemici ma persone di cui ci si può fidare”.

Don Mondin, entrato in seminario dopo la laurea in Giurisprudenza, mostra con orgoglio la “panchina della legalità”, dipinta con il tricolore e autografata dai giudici. A pochi metri c’è un totem con indicazioni verso gli angoli più tormentati del mondo: Messico, Ucraina, Haiti, Palestina.

A Barriera di Milano un residente su due è straniero e la proporzione balza all’occhio guardando i 400 iscritti dell’oratorio estivo, dove spiccano africani e sudamericani. “Ma abbiamo anche molti cinesi, che parlano l’italiano così bene da tradurre ai loro genitori – prosegue il salesiano – Capirsi non è facile, oltre alla lingua ci sono culture e tradizioni molto diverse. Ma noi facciamo un patto: qui avete strutture, volontari ed educatori a disposizione, però bisogna rispettare le regole. Non manca la carità, ma è fondamentale capire che non tutto è dovuto. E soprattutto che noi vogliamo dare strumenti per partire, o per ripartire”.

Un approccio pragmatico tutto salesiano, che dà frutti anche su un terreno in apparenza duro come questo, ulteriormente inaridito dalla piaga dell’abuso digitale. “I ragazzini sono schiavi dei social e degli smartphone, ormai non si trovano nemmeno più per fare i compiti: preferiscono collegarsi in videochat […] E i più piccoli si fanno condizionare dai videogame”. L’antidoto al virtuale è il contatto, la relazione. Il doposcuola, ma soprattutto lo sport. Calcio, pallavolo, ma anche passeggiate in Val d’Aosta. “Appena arrivano in vetta chiedono di fare un video per mandarlo alla mamma, perché lei – dicono – non ha mai visto un panorama così bello”.

In una periferia che sembra aver smarrito la sua identità (il filosofo Michel Foucault parlava di “eterotopia” per descrivere questi “non luoghi” urbani, così vicini ma così lontani dal centro cittadino) la Casa salesiana è un baluardo di umanità. Non un fortino chiuso, però, semmai un’oasi di generosità che tiene le porte spalancate. “Niente di tutto questo sarebbe possibile senza gli sforzi dei nostri volontari: giovani, adulti, anziani. Sono circa trecento e sono fondamentali”. Tanta buona volontà, che però da sola non basta. “Oggi servono risposte adeguate – prosegue don Mondin – Chiesa in uscita significa essere all’altezza di quello che il mondo ti chiede. Per questo ci avvaliamo di educatori professionisti che guidano le attività e affiancano chi è nuovo. Bisogna far capire che l’oratorio non è più solo il posto dove si fanno i giochetti”. Tutt’altro: la Casa ospita anche un complesso scolastico all’avanguardia, con laboratori ipertecnologici aperti anche alle scuole del territorio […]

L’impegno dei salesiani – che include anche corsi di avviamento al lavoro in collaborazione con le aziende – è sostenuto da una rete di donatori: la Fondazione Carlo Acutis ha regalato un laboratorio digitale, gli Amici di Matteo offrono consulti di neuropsichiatria infantile a chi non si può permettere visite private e che rischierebbe di aspettare 2 o 3 anni per una diagnosi di deficit dell’attenzione. Ma la lista dei benefattori è lunga. Linfa vitale per chi deve portare avanti la sua opera educativa e sociale in un pezzo di città ormai ad alto rischio.

Sono queste le due facce del quartiere Barriera di Milano. Chi è venuto da lontano e ha perso la bussola, chi è arrivato ed è subito ripartito.

Marco Birolini

Fonte: Avvenire 

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