Perù – Covid-19 lascia orfani oltre 100.000 minori
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17 Gennaio 2022
Foto ©: Vita.it

(ANS – Lima) – Secondo le stime pubblicate dalla rivista britannica The Lancet, per ogni due persone che muoiono di coronavirus, un bambino rimane orfano o senza un nonno che si prendeva cura di lui. Tra marzo 2020 e giugno 2021 i numeri ci dicono che quasi 2 milioni di minorenni hanno perso la madre, il padre o un nonno. Gli studi hanno anche rivelato che a causa della pandemia, nel mondo oggi diventa orfano un bambino ogni 12 secondi. In rapporto al numero degli abitanti, il Paese in assoluto più colpito da questo dramma è il Perù, seguito dal Sudafrica e dal Messico.

Nella nazione andina, che ha registrato sinora oltre 203mila morti su una popolazione di meno di 33 milioni di persone, ovvero più di 6 decessi ogni mille abitanti (in Italia siamo a 2,3, giusto per capire le dimensioni della tragedia), gli “orfani del Covid”, così li hanno battezzati, sono ormai oltre 100mila.

Emblematica a questo proposito la storia della famiglia di Gabriela Zarate, raccontata qualche giorno fa dalla BBC. Gabriela vive in una piccola casa alla periferia di Lima, con il marito e otto figli. Quattro sono suoi e altri quattro, due ragazze di 7 e 15 anni e due ragazzi di 9 e 12 anni, sono invece i figli della sorella minore, Katherine, morta di Covid-19 lo scorso giugno. Morta in casa, perché gli ospedali della capitale del Perù erano tutti strapieni e senza neanche una bombola di ossigeno, troppo caro per le precarie finanze della famiglia Zarate.

Don Manolo Cayo, Ispettore dei Salesiani nel paese andino, ha raccontato a VITA la situazione che si registra nel Paese. “Noi salesiani qui siamo in 98, distribuiti in 15 comunità, dall’Amazzonia alle Ande. Abbiamo sparse sul territorio 10 scuole, 9 Case Don Bosco per giovani in situazioni di vulnerabilità, una delle quali dedicata ai migranti venezuelani e 3 centri missionari, uno nel Vicariato di Yurimaguas, a Nord, uno nel Vicariato di Pucallpa, a Est, entrambi in piena Amazzonia peruviana, ed una missione andina a Monte Salvado, vicino a Cusco. Inoltre, gestiamo 10 parrocchie ed altrettanti centri giovanili”.

“Con la ‘Fondazione Don Bosco’ del Perù - continua don Cayo - abbiamo lavorato insieme alla Chiesa peruviana nella campagna per assicurare l’ossigeno e con il Banco Alimentare per l’emergenza alimentare. Abbiamo realizzato campagne d’intervento diretto in più di 90 ollas populares, come qui si chiamano le mense per i poveri”. Inoltre, “stiamo garantendo da quasi due anni l’accesso digitale alla scuola per gli adolescenti e i giovani più poveri, visto che in Perù non si va a scuola dal marzo del 2020 e solo adesso, finalmente, si parla di un ritorno a fine marzo di quest’anno. Questa mancanza di frequenza scolastica è un grave problema che si aggiunge alle terribili cifre dell’orfanità causate dal Covid”. La gran parte del lavoro dei salesiani in Perù, fanno sapere della Fondazione, “è stato finanziato dalle donazioni dei benefattori italiani di ‘Missioni Don Bosco’”.

“La grave situazione dell’infanzia peruviana in relazione alla crisi da Covid-19 non ha precedenti – racconta Corrado Scropetta, rappresentante in Perù di “WeWorld”, ONG attiva nel paese andino dal 2002 a sostengo delle famiglie più vulnerabili –. Già prima di Covid-19, tra l’altro, ad occuparsi di molti minori erano anche i nonni, soprattutto nei casi di gravidanze precoci che in Perù rappresentano il 12% dei casi tra le adolescenti. Adesso in tante hanno perso anche questa figura familiare. Nella tragicità di quello che comporta questo fenomeno a livello sociale e psicologico, l’aspetto economico non è da sottovalutare visto che questi bambini e bambine hanno perso anche ogni forma di sostentamento…”

“L’aspetto economico – prosegue – ha dei risvolti anche sulla crisi educativa a cui stiamo assistendo nel Paese. In Perù le scuole non hanno mai riaperto da marzo del 2020 ed è uno dei pochi paesi al mondo, secondo l’Unesco. Si spera che le scuole riaprano tra due mesi, con la ripresa dell’anno scolastico, ma il sistema pubblico è sotto pressione visto che, proprio a causa della crisi economica, circa 300mila studenti sono passati dal sistema privato a quello pubblico, che non ha infrastrutture adeguate né possiede un numero sufficiente di docenti”.

Per Roberto Vignola, Vicedirettore generale di Fondazione Cesvi, “a pagare il prezzo più alto a causa della pandemia da Covid-19 in Perù sono stati proprio i bambini e i ragazzi che hanno perso genitori o parenti che li accudivano e proprio per questo spesso non riescono più a nutrirsi regolarmente, hanno dovuto abbandonare la scuola per mantenersi, vivono una situazione di disagio mentale e sono sempre più esposti a rischio sfruttamento, anche sessuale”.

Gli assistenti sociali peruviani, infine, ritengono che l’impatto della pandemia sui bambini sia stato trascurato poiché di solito sono meno colpiti degli adulti dalla malattia, anche se già più di 1.500 bambini peruviani sono morti a causa del Covid-19.

Per Yuri Cutipé, il Direttore esecutivo della Salute Mentale presso il Ministero della Salute del Perù, “se aggiungiamo la perdita di un genitore o di un caregiver all’impatto sulla salute mentale della pandemia nel contesto dell’indebolimento delle reti familiari e comunitarie, e delle carenze economiche, la psiche di tutta questa fascia di popolazione rischia di essere segnata da vari cedimenti e da difficoltà complesse”. I lunghi lockdown, infatti, hanno causato un forte aumento della violenza domestica, nonché dell’ansia e della depressione nei più piccoli.

Un terzo dei bambini di Lima, infatti, “mostra un alto rischio di avere in futuro problemi di salute mentale”, secondo uno studio del Ministero della Sanità del Perù e dell’Unicef.

Fonte: Vita.it

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