La casa famiglia del “Borgo” s’impegna da anni a sostenere i minori, permettendogli di vivere l’affetto e la cura di una famiglia in attesa che quella di origine superi le difficoltà contingenti; ma va anche oltre, cercando di offrire dei validi riferimenti familiari anche a tutti quei ragazzi maggiorenni che, in uscita da una casa famiglia rischierebbero di trovarsi soli; e a quelli che non hanno la possibilità di tornare all’interno della propria. Tra questi, molti sono i Minori Stranieri Non Accompagnati (MSNA).
Quando si fa riferimento a questi ultimi, ai MSNA, si pensa subito alle problematiche legate all’accoglienza, alla tutela, ai documenti. Tutte cose essenziali che determinano non solo la possibilità o meno di inclusione, ma anche il benessere psico-fisico dei ragazzi, sottoposti a numerosi stress, tra i quali le lunghe attese per la regolarizzazione.
Ma non va dimenticato che i MSNA sono soprattutto dei ragazzi. Amano incontrare altri ragazzi e ragazze, hanno bisogno di mantenere i propri contatti con la propria famiglia di origine, alla quale sono strettamente legati, anche se a distanza. Hanno bisogno di andare a scuola, di imparare, di utilizzare il pc e il cellulare, di giocare a pallone.
Troppo spesso, tutto questo viene sottovalutato e i ragazzi si ritrovano parcheggiati nelle strutture, per lo più soli e tra connazionali; è vero che lì trovano vitto, alloggio e servizio sociale; ma vi trovano anche poco impegno per una fattiva inclusione.
Quando il Papa e il Rettor Maggiore hanno lanciato un appello per l’accoglienza dei richiedenti asilo, al “Borgo Ragazzi Don Bosco” si è deciso principalmente di offrire loro opportunità formative e di sperimentare, insieme a loro, possibili percorsi di inclusione. E contemporaneamente, si è avviato un progetto di intervento su strada, insieme ad altre associazioni, per poter intercettare quei minori che hanno paura di entrare in comunità o che ne sono scappati.
Una regola fondamentale adottata è stata quella di non accogliere nella casa famiglia del “Borgo Ragazzi Don Bosco” più di due ragazzi della stessa nazionalità; cioè si è deciso di accogliere MSNA insieme a ragazzi italiani e stranieri di seconda generazione. Si è cercato di offrire, a ciascun ragazzo accolto, una famiglia di riferimento con l’obiettivo di favorire la nascita di un legame anche per quando i MSNA dovranno andare a vivere da soli nel territorio. Un legame che aiuta sia chi accoglie, sia chi è accolto: colui che accoglie scopre che non c’è da aver paura di questi ragazzi; e chi è accolto scopre che è una persona particolare e speciale, non uno tra tanti.
Questi ragazzi si portano dentro dei grossi traumi: il distacco dalla propria famiglia, la situazione vissuta in patria, il viaggio con tutte le sue peripezie e i pericoli estremi, superati magari mentre accanto a loro tanti altri non ce la facevano. Per questo, specie nei primi tempi, hanno bisogno di fermarsi. Di recuperare alcuni aspetti tipici della loro giovane età: di perdere tempo, di giocare, di vestirsi bene, di vedere la TV o di giocare alla playstation. Sembra strano, alla volte pare che stiano prendendo il peggio della nostra società. In parte forse è così. Ma ci si rende anche conto che, pur essendo stati costretti dalla vita a crescere in fretta, sono sempre dei ragazzi che hanno diritto a restare tali. E quindi anche a farsi accudire, rimproverare, incoraggiare…
I responsabili del “Borgo Ragazzi” hanno anche scelto di offrire loro la possibilità di frequentare corsi brevi di avviamento al lavoro – per pizzaioli, pasticcieri, panettieri, addetti sala/bar, giardinaggio e orticultura. Infatti, spesso i MSNA non si inseriscono nei percorsi scolastici, vuoi per l’età, vuoi per gli anni persi. Ma soprattutto vengono avviati al lavoro perché tutti sono ben consapevoli del fatto che a 18 anni dovranno camminare con le loro gambe: dovranno sostenersi e anche cominciare a mandare le rimesse a casa.
Quello che si osserva è che i ragazzi hanno bisogno di punti di riferimento in cui essere riconosciuti e chiamati per nome. Spesso, dopo essere stati per un periodo al “Borgo Ragazzi”, ci ritornano, magari dopo aver trovato lavoro o dopo averlo nuovamente perso. Sanno che qualcuno sarà sempre disposto ad ascoltarli.
Negli anni è cambiata repentinamente la geografia degli arrivi: Albanesi, Rumeni, Afghani, Bengalesi, Egiziani, di nuovo Albanesi e ora Eritrei e di nuovo Egiziani. Tanto per dire i maggiori flussi di ragazzi della stessa provenienza geografica. Spesso si è spettatori impotenti di questi flussi, governati dall’alto da chi sfrutta la povertà degli altri a proprio vantaggio. Però, quando s’incontra un volto, un nome, una storia… Cambia tutto.
La comunità del “Borgo Ragazzi” crede all’accoglienza fatta nei piccoli centri e non nei grandi centri, che riproducono ghetti e campi profughi come quelli da dove sono partiti. La cosa migliore è offrire ai MSNA e a tutti i minori accolti nelle case famiglia opportunità di fare qualcosa, farli sentire utili e importanti. Occorre continuamente ridefinirsi e continuare la sfida di mettere insieme ragazzi italiani e stranieri (e, nel caso del centro salesiano, anche Rom).
“Quando a Tor Sapienza ci fu una rivolta da parte delle famiglie povere italiane delle case popolari che si sentivano invase dal campo rom, ma anche dal centro per rifugiati minorenni aperto davanti casa, la situazione era ingestibile: ognuno dava all’altro la colpa dei problemi del quartiere. Gli stessi ragazzi, insieme, durante il giorno, frequentavano il ‘Borgo Ragazzi’ e sperimentavano la convivenza, non solo pacifica ma fatta di relazioni umane che non rendevano evidenti le differenze ma piuttosto i bisogni comuni di imparare, lavorare, divertirsi” raccontano gli operatori del centro salesiano.
Un po’ di tempo fa al “Borgo Ragazzi” è tornato un giovane albanese che aveva fatto un corso di sala/bar. E ha raccontato: “Sono venuto a ringraziarvi. Per primi mi avete offerto una possibilità. Poi ho capito che potevo fare questo lavoro e ho continuato prima a lavorare in un albergo e poi di nuovo a fare un altro corso. Ora lavoro e sto bene e vorrei dire agli altri ragazzi, che sono qui, di essere determinati, come avete insegnato a me. Quando non trovavo lavoro, quando ad ogni colloquio non mi prendevano, mi dicevate di non fermarmi, di non arrendermi. Al decimo colloquio mi hanno preso a lavorare. Ho capito questa cosa e voglio dirla anche agli altri”.
Ecco di cosa c’è bisogno: anziché creare strutture dedicate solamente ai Minori Stranieri Non Accompagnati, vanno ripensate le attività educative ordinarie – oratori, scuole, attività sport, corsi di formazione professionale – aprendole ai ragazzi stranieri in ogni contesto e in ogni territorio, adeguandole in modo flessibile alle loro possibilità.
Fonte: Borgo Ragazzi Don Bosco