Il Sig. ARTEMIDE ZATTI continua a guarire… Testimonianza di don Carlo Bosio

09 Ottobre 2022

Il mio saluto fraterno a tutti voi e l’allegria di poter condividere, in famiglia, un’esperienza molto profonda che Dio, nella sua bontà, mi regalò per intercessione dell’infermiere santo della Patagonia, Sig. ZATTI, giustamente chiamato anche “il parente di tutti i poveri”.

In primo luogo, desidero fare un chiarimento: con piacere rendo questa testimonianza, ma ricordo sempre che la figura chiave di tutto è il Sig. Zatti, che seppe donare la vita per i malati. È importante non fermarsi a quanto è clamoroso o straordinario nel caso, ma che tutto questo ci animi a vivere la nostra vita salesiana con la generosità e l’allegria con cui la visse questo confratello coadiutore. 

La mia malattia è incominciata nel marzo del 1980 a Bahía Blanca. (Argentina). Avevo 24 anni e dovevo iniziare il primo anno di teologia. Con i confratelli della comunità dei teologi siamo andati da Buenos Aires a Bahía Blanca e a Fortín Mercedes per trascorrervi alcuni giorni. Lì mi sono sentito male. Mi hanno diagnosticato un’appendicite. Fui operato. Tre giorni dopo si è prodotta una cancrena con gas nella zona affettata. Nuova operazione. Sono rimasto per due giorni in terapia intensiva.

Dopo 15 giorni, siccome il mio stato era critico, mi hanno trasferito all’ospedale Muñiz di Buenos Aires, specializzato in malattie infettive. Nuovo intervento chirurgico per controllare la cancrena. L’infezione si era localizzata nei polmoni. Per due volte mi hanno fatto il drenaggio. La febbre, segno di infezione, non calava.

Gli esami seguenti diagnosticarono setticemia. Vuol dire che l’infezione non era rimasta ristretta a un organo, ma era entrata nel sangue. Siccome le analisi indicavano che non avevo difese nell’organismo (grado zero di immunità) il quadro della situazione si aggravava.

La mancanza di immunità era provocata dagli antibiotici molto forti che mi amministravano e dalla debolezza dell’organismo. In tutto questo periodo mi alimentavano soltanto per fleboclisi.

Secondo il parere del Dott. Zabalza, capo della sala 5ª di chirurgia dell’ospedale Muñiz, setticemia più grado zero di immunità significava un 100% di mortalità.

Nel Muñiz ho avuto due momenti critici. Il primo fu il 5 aprile: mi sono ripreso parzialmente. I medici hanno ripetuto ai miei genitori che il caso era molto difficile e non c’era speranza di vita. Il secondo, il 18 aprile: dopo aver trascorso la notte in coma, mi sono svegliato al mattino, ho parlato un poco, poi ho chiesto di mangiare e, con stupore di medici e infermiere, la febbre era sparita. Da allora in poi la ripresa fu molto rapida e totale.

Quattro giorni dopo mi hanno autorizzato ad andare in un’opera salesiana vicina all’ospedale, per continuarvi la convalescenza. A giorni alterni dovevo presentarmi in ospedale per le medicazioni.

A fine maggio sono potuto andare a casa dai miei genitori per completare la convalescenza. A ottobre giocavo futbol con gli allievi della scuola agricola salesiana che funziona nel paese dove abita la mia famiglia. Il Dott. Zabalza soleva chiamarmi “il morto che parla”… E, come vedete, Zatti mi ha guarito molto bene.

È interessante aggiungere che è stato precisamente nel mese di marzo del 1980 che a Viedma si è aperto il processo diocesano per la causa del Sig. Zatti.

Perché si attribuisce la mia guarigione al Sig. Zatti? Perché, quando sono andato a studiare teologia in una comunità di Bahía Blanca, i due formatori che avevo, il direttore don Juan REBOK e l’assistente don Emilio BARASICH (che hanno conosciuto personalmente Zatti), hanno incominciato le novene (sono state tre) e hanno invitato le altre comunità e i conoscenti a pregare chiedendo la grazia per intercessione di Zatti.

Desidero ringraziare la mia famiglia, specialmente la mia mamma Olinda. Ella mi ha accompagnato durante tutto quel tempo, sopportando con fortezza una simile angoscia.  E tanti confratelli che si presi cura di me con affetto.

Ogni vita umana è un miracolo. Non sempre ne abbiamo coscienza. Ci fermiamo in superficie e non percepiamo il valore e la grazia rappresentati dal fatto di “essere vivi”. Certamente l’esperienza di una guarigione che sfugge ai pronostici medici accentua in me la certezza di “essere vivo per miracolo”, per pura bontà di Dio.

Questa esperienza del dolore, della malattia, fondamentalmente mi ha aiutato a guardare le vita con altri occhi. Dio ha toccato la mia esistenza in un modo molto forte. Questa esperienza limite mi aiuta a collocare le cose al posto giusto. Mi aiuta a “relativizzare” molti problemi… Quando ho difficoltà o perdo un po’ la calma, basta che mi trasferisca mentalmente all’ospedale Muñiz e tutto si rasserena…

La grazia di essere vivo fa che molte cose smettano di inquietare e perturbare.  E invita a vivere in ringraziamento costante a Dio per il suo amore e la sua tenerezza.

Ho avuto un primo contatto con la vita di Zatti in noviziato, l’anno 1973, leggendo il libro di don Entraigas “Il parente di tutti i poveri”, la prima biografia sul confratello. Mi è piaciuto molto constatare che essere santo non consiste nell’essere perfetto o fare cose straordinarie, ma nel vivere in atteggiamento di servizio e disponibilità ai fratelli, specialmente i più bisognosi.

Mi impressionano la sua semplicità e la sua donazione quotidiana. Il suo temperamento sereno e il tratto amabile, unito al senso dell’humour. Ha vissuto con intensità la spiritualità salesiana dello “studia di farti amare”. E ha vissuto anche l’essenza del vangelo: essere una persona capace di amare, donando la vita nelle cose di ogni giorno. Si tratta di un valore che impressiona molto i giovani, che hanno naturalmente nel cuore sentimenti e forti desideri di solidarietà e donazione.

Concludo: Zatti interceda presso Dio e presso Don Bosco affinché, nella nostra Congregazione, sorgano numerosi e santi confratelli coadiutori.

Testimonianza di Don Carlo Bosio 

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