Nel 1971 scrisse la coraggiosa lettera pastorale “Una Chiesa nell’Amazzonia in guerra contro il latifondo e l’emarginazione sociale”, nella quale denunciava mali più che mai attuali: l’accaparramento delle terre, le crescenti diseguaglianze, la sofferenza delle popolazioni locali. Può, dunque, essere considerato un precursore di quella sensibilità che ha dato vita al recente Sinodo per l’Amazzonia.
Era grande amico del Servo di Dio don Rodolfo Lunkenbein, SDB, con cui fondò e collaborò nel Consiglio Indigenista Missionario (CIMI). Il 15 luglio 1976 don Lunkenbein e l’indio Simão vennero uccisi nella missione salesiana di Meruri e il 18 luglio seguente mons. Casaldáliga scrisse nel Libro delle condoglianze di Meruri: “Il 15 luglio è una data storica nella storia della nuova Chiesa Missionaria. Rodolfo e Simão sono altri due martiri, spezzati nell’amore, secondo la parola di Cristo: l’indio ha dato la vita per il missionario. Il missionario ha dato la vita per l’indio. Per tutti noi, indios e missionari, questo sangue di Meruri è un impegno e una speranza. L’indio avrà la terra! L’indio sarà libero! La Chiesa sarà indigena!”. Una sintesi profetica di una storia di amore e croce, di sudore e sangue, di fede e coraggio.
Papa Francesco, nella sua esortazione apostolica post-sinodale Querida Amazonia, pubblicata il 12 febbraio 2020, ha citato una delle poesie di Mons. Casaldáliga: “Galleggiano ombre di me, legni morti. Ma la stella nasce senza rimprovero sopra le mani di questo bambino, esperte, che conquistano le acque e la notte. Mi basti conoscere che Tu mi conosci interamente, prima dei miei giorni. (Carta de navegar - Pedro Casaldáliga)”, a sottolineare che la “relazione con Dio presente nel cosmo” deve diventare “sempre più la relazione personale con un Tu che sostiene la propria realtà e vuole darle un senso, un Tu che ci conosce e ci ama” (n. 73 di Querida Amazonia).
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