Continuamente si sente parlare di accoglienza, integrazione, migranti… Ma molto spesso il discorso si riduce a numeri e dati… I quali, però, che non contano più quando capita di guardare negli occhi, ascoltare la storia di qualcuno che ha un nome e un cognome.
I ragazzi del Camerun sono giovani che hanno rischiato il tutto per tutto, che sono partiti “quando il mare sembrava più sicuro della terra” e adesso sono aperti al dialogo, al confronto, allo scambio. Non è stato difficile, è bastato un pallone, una bella partita, una chiacchierata e infine una testimonianza che ha insegnato, letteralmente “segnato dentro”, ciascuno. Il bello dell’accoglienza, come faceva notare uno dei ragazzi del Camerun, è che diventa tale solo quando è a due direzioni: accogliere significa aprirsi all’altro e lasciare che l’altro si apra a te.
Ed è così che uno di questi giovani accolti a Santeramo lascia tutti senza parole, con poche frasi, sincere e dirette: “Fa paura non avere uno scoglio a cui aggrapparsi. Io so cosa significa attraversare il mare, schiacciato su una barca o su un gommone, tra i pianti ei bambini e le urla delle madri. Tra le onde che ti spingono in acqua con la morte nel cuore sapendo che non ti aspetta nessuno e che non puoi tornare indietro.
Io so anche cosa significa essere salvati e accolti, ma non tutti sono stati fortunati come me, come noi. E quei corpi sulla spiaggia, in mare, non me li potrò mai strappare dal cuore e dagli occhi.
Prego perché questa sera siamo noi a salvarvi, perché Dio ha dato il suo figlio unico per salvare tutti noi, e voi, perché siamo la sua famiglia. La sua famiglia siamo tutti noi, il mondo intero senza confini, senza odi senza rancori e senza divisione. Perché Gesù è l’amore su cui dobbiamo fondare le nostre vite, le nostre case e le nostre famiglie. Grazie”.
Durante la testimonianza, c’erano persone di tutte le età, completamente diverse le une dalle altre, ma tutte animate dalla curiosità e dalla certezza che c’è qualcosa che va oltre i numeri, le notizie, le testate giornalistiche. Dietro questi giovani c’è davvero un mondo da scoprire ed è stato bello avere la possibilità di esplorarne una parte.
Fonte: Don Bosco al Sud