Uno di questi è Kande, 16 anni, che è arrivato presso la casa salesiana per chiedere un pezzo di pane. Ha iniziato a vivere per strada che ne aveva 10. “La vita era dura. A volte la polizia veniva ad arrestarci e ci portava al centro di riabilitazione di Mbazi e stavamo lì per circa cinque mesi, e dopo, quando tu tornavi per strada, lottavi per trovare anche solo dove dormire e alla fine dovevamo dormire sotto i ponti”. Accanto a lui mangia la sua minestra Dakarai, andato a mendicare in strada dopo che la madre ha ucciso il padre in una lite familiare ed è finita in carcere. “Ho continuato a vivere in strada per circa 13 anni – racconta –finora ho avuto la possibilità di studiare meccanica grazie ai salesiani”.
“Sono grato ai sacerdoti perché mi hanno portato alla formazione professionale – spiega ancora Juvenal –. Oggi studio meccanica con i miei coetanei, ma non abbiamo tutto quello che ci serve. Ci mancano uniformi scolastiche, e anche camicie e scarpe sono difficili da trovare a causa della povertà. Ma se ti manca qualcosa da mangiare, lo sopporti e torni a scuola perché hai un obiettivo da raggiungere”.
Ishimwe, invece, è una giovane ruandese nata in un campo profughi in Repubblica Democratica del Congo, dove la sua famiglia si era rifugiata per sfuggire al genocidio del 1994. Ma quando aveva solo tre mesi una guerra civile scoppiò anche in Congo, i ribelli attaccarono il campo e i genitori furono separati. Entrambi poi si sono rifatti una vita altrove e lei è stata cresciuta dalla nonna materna. Ma quando l’anziana non ha avuto più la forza di lavorare nei campi, anche lei si è rivolta ai salesiani di Rango, chiedendo aiuto per poter seguire il corso di cucina.
“Vengono dalla strada chiedendo di mangiare e molti riusciamo ad inserirli nei corsi professionali come quelli di meccanico e calzolaio – racconta il parroco, don Remy Nsengiyumva –. Gli offriamo materiale scolastico e uniformi, ma il problema è il cibo. Alcuni, infatti, vivono completamente per strada, altri ricevono da mangiare nelle famiglie di accoglienza; altri ancora mangiano solo la sera dove studiano per i corsi tecnici”.
Per loro, don Nsengiyumva e i suoi parrocchiani stanno organizzandosi per realizzare una piccola mensa e cucinare a mezzogiorno, quando finiscono le lezioni al Centro di Formazione Professionale. Non c’è ancora un vero progetto, anche se ha già un nome – “Ejo heza”, (Meglio domani) – ed è stato avviato quando all’inizio della pandemia in Rwanda, nella primavera dal 2020, i bambini dalla strada hanno cominciato a bussare alla parrocchia. Con il passaparola, “visto che i loro compagni sono stati trattati bene”, ricorda don Remy, “ora vengono in gran numero. Non li abbiamo ancora registrati, ma lo faremo presto. E chiediamo, a tutti coloro che possono, di darci una mano”.
Fonte: Vatican News