Dal 20 luglio 1944 don Elia Comini condivideva una fraternità sacerdotale con padre Martino Capelli, ospiti di Mons. Fidenzio Mellini a Salvaro, in aiuto alla pastorale. La canonica di Mons. Mellini diventa ciò che Mons. Luciano Gherardi ha poi chiamato “la comunità dell’arca”, un posto che accoglie per salvare. Padre Capelli era un religioso che si era infervorato quando aveva sentito parlare dei martiri messicani e avrebbe desiderato essere missionario in Cina. Don Comini, sin da giovane, è inseguito da una strana consapevolezza di “dover morire” e già a 17 anni aveva scritto: “Persiste sempre in me il pensiero che debba morire! – Chissà?! Facciamo come il servo fedele: sempre preparato all’appello, a reddere rationem della gestione”.
Il 29 settembre 1944 mattina, don Comino accorre con padre Capelli verso la “Creda”, un abitato dove le SS della 16a Divisione Corazzata avevano appena perpetrato un eccidio: stola, oli santi e teca con alcune particole eucaristiche li identificano chiaramente come sacerdoti, nell’esercizio del loro ministero di conforto degli agonizzanti. Catturati, spogliati delle insegne sacerdotali, usati come “bestia” da soma nel trasporto delle munizioni, don Comini e padre Capelli vivono quel giorno una intensa passione, obbligati molto probabilmente ad assistere alle “più raccapriccianti violenze”. Tradotti a sera nella “casa dei birocciai” a Pioppe di Salvaro, vivono due intensi giorni, persuasi sin dall’inizio di essere destinati a morire e nondimeno vicino ai prigionieri, pronti sempre a confortare, soccorrere, infine assolvere. Falliscono le differenti mediazioni con cui si tenta di salvarli.
Alla sera del 1° ottobre 1944, vengono uccisi con il gruppo degli “inabili” presso la botte della canapiera – un serbatoio d’acqua in quel momento quasi asciutto e fangoso – di Pioppe di Salvaro, al termine di una surreale liturgia in cui le SS avevano fatto sfilare i prigionieri su una passerella prima di falciarli con le mitragliatrici: don Comini, intonando le Litanie e gridando infine “Pietà!”, l’aveva trasformata in un avanzare orante verso il Cielo. Poco prima della morte, un tedesco colpisce violentemente le mani di don Comini e il suo breviario cade tra i corpi. Padre Capelli invoca invece “Perdono”, ergendosi a fatica nell’invaso, tra i compagni morti o morenti, e tracciando il segno di Croce pochi istanti prima di morire egli stesso, a causa di una enorme ferita.
Nei giorni successivi, a causa delle piogge torrenziali, e nell’impossibilità di recuperare le salme già in decomposizione, verranno successivamente aperte le griglie e l’impetuosa corrente del fiume Reno trasporterà via per sempre quei poveri resti, già consumati e divenuti “terra”.
Mons. Benito Cocchi nel settembre 1977 a Salvaro disse: “Ebbene qui davanti al Signore diciamo che la nostra preferenza va a questi gesti, a queste persone, a coloro che pagano di persona: a chi in un momento in cui valevano solo le armi, la forza e la violenza, quando una casa, la vita di un bimbo, un’intera famiglia erano valutati niente, seppe compiere gesti che non hanno voce nei bilanci di guerra, ma che sono veri tesori di umanità, resistenza e alternativa alla violenza; a chi in questo modo poneva radici per una società e una convivenza più umana”. In tal senso, “il martirio dei sacerdoti costituisce il frutto della loro scelta consapevole di condividere la sorte del gregge fino all’estremo sacrificio, quando gli sforzi di mediazione tra popolazione e gli occupanti, a lungo perseguiti, vengono a perdere ogni possibilità di successo”.
In questo anno speciale si terranno due passaggi fondamentali per il processo di martirio: il 10 dicembre avrà luogo la Sessione ordinaria dei Cardinali E Vescovi per la Causa di don Elia Comini; il 12 dicembre il Congresso peculiare dei Consultori Teologi per la Causa di padre Martino Capelli.
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