I genitori avevano una fede incrollabile e il piccolo Ignazio s’imbevve di questo clima di fede coraggiosa. Sin dalle scuole elementari sentì parlare di sacerdozio dal suo ottimo maestro Giovanni Kolibaj e ne avvertì il fascino. Questo sogno diventò realtà solo all’età di 22 anni quando fu indirizzato ai Salesiani e fu Don Rua ad accoglierlo a Torino. Suo ardente desiderio era partire per le missioni: per questo studiò, insieme alla filosofia, anche agronomia, ma Don Rua un giorno enigmaticamente gli disse: “La tua missione sarà al Nord!”.
Cominciò per Ignazio una serie di tappe diverse: è inviato innanzitutto a Gorizia, all’epoca città dell’Impero austro-ungarico. Insegna ai convittori del ginnasio e nello stesso tempo studia Teologia. Allo studio si aggiungono non pochi altri incarichi, tra cui quello di seguire i lavori edilizi in casa. Nel 1901 viene ordinato sacerdote. Pur conservando i suoi tanti impegni, comincia a far parlare di sé come direttore spirituale e confessore molto ricercato.
Nel 1910 è inviato a Lubiana (Slovenia). Anche qui si deve occupare della costruzione della chiesa di Maria Ausiliatrice, che era stata interrotta per difficoltà economiche. Erano tempi difficili: bisognava dar da mangiare a tanti ragazzi, sostenere il noviziato. Egli, da buon economo, riesce in tutto, compreso il completamento del santuario.
Nel 1925 i superiori lo mandano a Perosa Argentina (Torino) per iniziare un’opera a favore degli aspiranti provenienti dalla Boemia e dalla Moravia. Egli vi trascorse tre anni in una situazione di grande povertà. Quando si rese necessario trasferire questi giovani nella loro patria d’origine, è ancora don Stuchlý a esserne incaricato. Partì per Frysˇták (Rep. Ceca).
Un fortunato sviluppo vocazionale spinse i superiori a fare della Cecoslovacchia una Provincia autonoma. Don Stuchlý ne fu il primo Ispettore. Era il 1935. In pochi anni fece fiorire la nascente ispettoria: dopo quattro anni, i confratelli erano circa 400. Quando l’Ispettoria cecoslovacca si divise in due (Slovacchia e Boemia-Moravia) don Stuchlý continuerà a essere responsabile di quest’ultima.
Con il nazismo e la seconda guerra mondiale arrivarono anni terribili: case sequestrate, salesiani inviati ai lavori forzati. Il “nonnino” (come ormai don Stuchlý veniva chiamato) fu il sicuro punto di riferimento, rafforzando nei confratelli la fede e la speranza e operando con carità verso i più deboli. Finita la guerra, ormai settantenne, chiese la sostituzione, ma l’obbedienza affidò ancora a lui la difficile gestione del periodo postbellico.
Con l’avvento del comunismo le opere salesiane vennero requisite, i confratelli arruolati o dispersi. Don Stuchlý vide d’un tratto distrutta l’opera cui aveva consacrato la vita. Quaranta giorni prima della fatidica “Notte dei barbari”, nel marzo 1950, è colpito da apoplessia: trascorre allora gli ultimi tre anni di vita, dapprima nella casa di riposo di Zlín, poi a Lukov, sempre sorvegliato dal regime e isolato dai confratelli. Si realizza così la sua profezia che sarebbe morto solo. La vivissima stima che egli sempre aveva suscitato nei superiori e la sua grande capacità di amare e farsi amare, fioriscono più che mai in fama di santità. Si spegne serenamente la sera del 17 gennaio 1953.
La Causa di beatificazione di don Ignazio Stuchlý prosegue ed è imminente il riconoscimento delle virtù eroiche.
Altre informazioni sono disponibili sul sito web in 4 lingue: https://istuchly.cz/