Don Ángel, nella 150ª Spedizione Missionaria Salesiana lei ha consegnato la croce a 36 confratelli, 9 dei quali verranno inviati nelle vostre opere in Amazzonia (Brasile, Ecuador, Perù e Venezuela). Lei ha visitato molte volte quei Paesi anche di recente. Quali sono i problemi più urgenti soprattutto per i giovani?
Noi siamo una Congregazione riconosciuta nella Chiesa per l’educazione e l’evangelizzazione dei giovani, questa è la nostra identità carismatica. Allo stesso tempo Don Bosco è stato un grande missionario: lui stesso ha inviato i primi confratelli in Patagonia. Per questo ci riconosciamo come una Congregazione missionaria. In America Latina abbiamo opere destinate a 63 popoli originari, nessun’altra Congregazione è accanto a tanti nativi come lo siamo noi. Il primo beato del Sud America è un giovane salesiano laico argentino, Zeffirino Namuncurá, della tribù dei Mapuce, un popolo amerindo dell’Argentina del Sud. Parlando e ascoltando i miei confratelli che vivono lì, molti hanno dedicato tutta la loro vita, emerge che il problema più grave è l’abbandono dell’Amazzonia da parte dei giovani nativi per emigrare nelle grandi città. Così i popoli originari perdono le nuove generazioni e nello stesso tempo la propria identità perché nella foresta rimangono solo gli anziani.
In questo contesto la Chiesa come può fare sentire la propria voce?
In Brasile, per esempio, abbiamo fatto una scelta di Congregazione: non abbandoneremo mai la nostra presenza tra i popoli originari, e in secondo luogo cerchiamo di sostenere con l’educazione i giovani nativi in modo che servano il loro popolo e non lo abbandonino. Un segno di questo impegno è la nostra Università a Campo Grande, la capitale dello Stato del Mato Grosso, in Brasile, frequentata da più di 12mila giovani, tra cui 100 giovani delle popolazioni originarie, come gli Xavantes, inviati dalle nostre opere e sostenuti negli studi a nostre spese sia per la formazione che per l’alloggio.
Questo è un modo per tener fede alla nostra missione, è un investimento sui giovani nativi per il futuro e la sopravvivenza dei popoli dell’Amazzonia. Ma non solo in Amazzonia siamo impegnati sul fronte dell’educazione, come per esempio in Bolivia e ad Haiti con le esperienze delle scuole popolari frequentate da migliaia di ragazzi che senza le nostre opere non potrebbero ricevere nessun tipo di istruzione.
In tutto il mondo abbiamo 58 Università salesiane dove, sulle orme di Don Bosco, chiedo come Rettore Maggiore di garantire studi gratuiti ad una percentuale di ragazzi tra i più poveri.
L’altro tema è l’ambiente: certamente anche noi siamo preoccupati, non soltanto dal punto divista ecologico, per la cura del Creato in piena sintonia con la Chiesa e in modo particolare con Papa Francesco a partire dai contenuti dell’enciclica Laudato Si’.
Continuate a scommettere sull’educazione...
Certamente è così in Amazzonia, in India dove abbiamo molti college, e in Africa dove stiamo facendo i primi passi. È un grande sforzo perché i docenti vanno pagati e occorre mantenere le strutture ma è una scelta di Congregazione che ci pare - e lo diciamo con molta umiltà - un contributo essenziale per dare futuro ai giovani più fragili e per contribuire alla sopravvivenza dei popoli originari. Come stiamo facendo, ad esempio in Paraguay con il popolo Ayioreo, nel Gran Chaco: qui, quando sono arrivati i primi salesiani 60 anni fa, abbiamo iniziato a investire sulla scuola e sulla formazione professionale.
Sono stato di recente in visita ai miei confratelli e alla loro gente che vive lungo il fiume Paraguay. Oggi parecchi giovani Ayioreo frequentano la nostra università: il maestro del popolo ha studiato nelle nostre scuole così hanno fatto altri nativi. Crediamo molto nell’educazione: il Papa nel 2015, quando è venuto a Valdocco in occasione del Bicentenario di Don Bosco, ha invitato i salesiani ad essere persone concrete sulle orme del loro fondatore che cercava di risolvere i problemi dei giovani che gli venivano affidati.
Credo che stare accanto ai giovani nativi dell’Amazzonia per noi significhi anche investire sulla loro educazione e formazione scolastica perché possano avere gli strumenti per fare sentire presso le sedi opportune la loro voce.
Cosa si aspettano i suoi confratelli che vivono in Amazzonia e le Chiese locali da questo Sinodo offuscato dagli incendi che devastano il polmone del mondo?
Io credo che attendano da tutta la Chiesa una parola evangelica, coraggiosa. I mei confratelli salesiani si aspettano prima di tutto vicinanza come Chiesa e come Congregazione, vicinanza a questi popoli che spesso non hanno voce o hanno una voce troppo flebile. E poi da noi come Chiesa hanno bisogno di coerenza e non soltanto di parole “politicamente corrette”: non prendere posizione è spesso una tentazione anche per noi. In questo senso noi salesiani ci sentiamo pienamente in linea con la parola profetica e coraggiosa di Papa Francesco che ha indetto questo Sinodo: oggi e come ha fatto Don Bosco anche noi diciamo: “siamo con il Papa”.
Il Sinodo dell’Amazzonia cade proprio nei giorni in cui milioni di ragazzi e ragazze sono scesi in piazza per sensibilizzare l’opinione pubblica sulla salvaguardia del Pianeta. Cosa avrebbe detto Don Bosco a questi giovani che, seguendo anche l’invito del Papa, stanno diventando protagonisti del loro futuro?
Io sono convinto che Don Bosco avrebbe senza dubbio incoraggiato i suoi giovani a difendere l’ambiente, invitandoli a preservare la bellezza della Creazione, avrebbe sottolineato l’azione di Dio nel Creato, li avrebbe incoraggiati a diffondere presso i loro coetanei e gli adulti questa sensibilità perché è evidente che custodire il dono della creazione è un dovere per tutti, significa assicurare futuro alle nuove generazioni. E Don Bosco ha fatto esattamente questo: la sua vita per i giovani. Sono spaventato dalla mancanza di una visione in prospettiva di tanti politici e governanti: una mancanza colpevole, non perché non ritengano che sia un tema importante, ma perché non è utile al loro “potere”. Per questo sono convinto che, come credenti nel Signore Gesù, non possiamo essere neutrali: sulla cura del Creato non ci può essere neutralità, non è possibile.
Il Papa fin dall’inizio del suo Pontificato invita tutti a stare accanto agli scartati della terra: i suoi appelli, la sua voce - spesso l’unica - si è levata spesso invitando i giovani “a non farsi rubare il futuro”. Le stesse parole contenute nella Laudato Si’ sono quelle che spingono milioni di giovani a scendere in piazza per salvare il pianeta. Eppure anche tra i credenti - anche in questi giorni in cui si celebra il Sinodo non mancano le polemiche - ci sono frange di insofferenza nei confronti del magistero di Francesco...
La storia della Chiesa ci insegna che anche i più piccoli segni profetici non sono mai stati accettati in modo pacifico. Per questo dobbiamo pregare per questo Sinodo perché – e lo dico perché ho avuto la fortuna di partecipare al Sinodo precedente sulla famiglia – ho la sensazione che saranno lavori complessi sia per i temi dell’organizzazione delle comunità cristiane dei popoli originari, sia perché la pressione sociale e di alcuni Governi sui temi dell’ambiente è molto forte.
Lasciamo che lo Spirito Santo possa veramente guidare i lavori e la riflessione dei sinodali, viviamo questo tempo nella fede. Non lasciamoci spaventare dagli attacchi: non sarà tutto facile ma sono convinto che da questi grandi eventi ecclesiali nascono sempre luce e nuove opportunità per favorire i credenti e le Chiese che vivono nelle zone di frontiera come l’Amazzonia affinché possano sentirsi sostenuti, rafforzati, ascoltati. Questa è la grande ricchezza del Sinodo.
Marina Lomunno
Fonte: La Voce e Il Tempo