di don Martín Lasarte, SDB
È un venerdì ed è l’ora nona (ore 15:00). È il suo venerdì santo. Come il Salvatore, invece di 3 chiodi, ci sono stati 3 colpi; non sulle mani e sui piedi, ma 2 sullo stomaco e uno sulla testa. Come per Cristo il Calvario era il culmine del suo itinerario, del suo sì al Padre e della sua dedizione per l’umanità, così don César ha trovato la fine del suo pellegrinaggio nelle terre africane, dopo 72 anni di vita, 55 come salesiano, 46 come sacerdote e 37 come missionario. È la fine di un viaggio d’amore per il Signore e per i giovani africani. Don Bosco disse che quando un salesiano soccombe nel lavoro è un giorno di gloria per la Congregazione; dunque quanto più lo è se soccombe dando la sua vita nel martirio.
Il 25 febbraio la Chiesa celebra i Santi protomartiri salesiani Versiglia e Caravario, che hanno amato i loro popolo adottivo, dando la vita per esso; anche loro sono stati portati in una foresta e lì fucilati. Don César è il proto-martire sacerdote del 2019. Nel 2018, la violenza ha preso la vita di 39 altri sacerdoti della Chiesa.
A don César piaceva essere il primo. Fu nel primo gruppo di salesiani a fondare la fiorente presenza di Don Bosco in Togo. Voleva essere il primo; ma con gli occhi di Gesù: primo nel servire, primo nel fare il passo iniziale, primo nell’essere l’ultimo. “Chiunque vuole essere il primo diventi servo di tutti. Perché il Figlio dell’uomo non è venuto per essere servito, ma per servire e dare la sua vita come riscatto per una moltitudine” (Mc 10, 44-45).
La morte di don César è stata molto sentita dalla sua famiglia e dai suoi compatrioti di Pozoblanco in Spagna. Egli è rimpianto dai suoi fratelli salesiani che sentono la perdita di un caro confratello di riferimento nell’Ispettoria, che ha saputo inculturare il carisma di Don Bosco in quelle terre, essendo stato Maestro dei Novizi per 10 anni. Lo piangono la gente semplice e i giovani del Burkina, del Togo, del Benin, del Senegal, del Mali, della Guinea, della Costa d’Avorio e di altri luoghi dove è andato facendo del bene.
Come ha detto sulla sua morte don Faustino García Peña: “È stato il punto di arrivo di una vita offerta per amore e con amore… Ha dato tanto frutto nella vita che continuerà dopo la sua morte”. Tutto questo ci ricorda le parole di Gesù: “Se il chicco di grano che cade sulla terra non muore, rimane solo; ma se muore, porta molto frutto” (Gv 12,24).
In questo modo la sua testimonianza sarà un Vangelo permanente annunciato. La sua gioiosa vita salesiana sarà una chiamata ai giovani a vivere una vita piena e felice, amando con tutto il cuore.
È emozionante la sua testimonianza di consacrato che ci lascia in quel piccolo video che circola sulla rete. Parole spontanee, semplici e profonde che riassumono una vita di donazione:
“Ho 50 anni di salesiano, sono professo perpetuo. Quello che posso dirti è che vivere la vita salesiana, la vocazione salesiana, è una grazia del Signore, una serie di ringraziamenti concatenati. L’unica cosa che posso dire è che ho ricevuto molti benefici dal Signore, in contatto con i giovani. Sono i giovani nei diversi luoghi in cui sono stato quelli che mi hanno insegnato a essere salesiano e a essere quello che sono adesso. È un’azione di ringraziamento perché non merito questa vocazione, una vocazione che mi supera. Quindi, grazie mille al Signore. Incoraggio coloro che sentono questa vocazione a realizzarla veramente. Sebbene non sia facile, è una gioia essere in grado di servire la Congregazione e i giovani. Grazie mille”.
Dal Cielo ora continuerà a rendere grazie per la sua vocazione salesiana, per i benefici che il Signore gli ha concesso nelle Missioni; per la grazia di vivere con e per i giovani ... e ora anche canterà: “Grazie per avermi dato la palma del martirio”. “Grazie!”