di Sheila Kun, Salesiana Cooperatrice
Essendo cresciuta in una famiglia cinese, le manifestazioni d’amore non sempre erano verbali. “Ti voglio bene” non era una frase che i miei genitori pronunciavano esplicitamente. Non era nella loro cultura, né nella loro tradizione, elogiare apertamente i figli per un lavoro ben fatto. In realtà, la loro approvazione si percepiva forse da un sorriso, dalle lacrime raccolte con orgoglio nei loro occhi. Quando ci siamo trasferiti in America uno degli shock culturali maggiori è stato vedere come l’amore venisse espresso così apertamente, sia nelle parole che nei gesti. È una cosa buona. Abbiamo imparato ad abbracciare questa norma culturale trasmettendo il nostro amore liberamente e senza riserve. Tuttavia, non tutte le persone di una certa età sarebbero in grado emulare i giovani dicendo con franchezza “ti voglio bene”. Eppure vorrei invitare ad osservare le loro espressioni d’amore che passano attraverso modi sottili. Nella mia esperienza personale ho assistito a diversi casi di dire “ti voglio bene” senza dirlo.
Partiamo ad esempio dalla mia relazione coniugale. Sono sposata da quasi 48 anni e non ho ricevuto fiori, gioielli e nemmeno una fede nuziale. Ma il senso di amore incondizionato è forte e l’ho percepito in molte occasioni. La mattina in cui ho ricevuto la notizia, del tutto inattesa, che mio fratello maggiore era morto, raccolsi le mie energie e decisi di andare a lavorare a qualsiasi costo. Non avrebbe avuto senso per me chiudermi in casa a pensare a notizie dolorose. Così iniziai a preparami, e mentre stavo asciugandomi le lacrime, ho sentito un caldo abbraccio da dietro e mio marito che mi chiedeva: “vuoi che ti accompagni a lavoro?”. L’amore è stato iniettato in tutto il mio corpo anche senza sentire la frase “ti amo”.
Ma la cura e l’attenzione verso l’altro non sono un’esclusiva delle relazioni matrimoniali. Si verificano anche quando si vive in una comunità con confratelli giovani e anziani. Una volta mi hanno raccontato di un religioso anziano che era al centro dell’attenzione di quella comunità. I confratelli più giovani si premuravano di verificare le sue condizioni di salute. Parole di gentilezza e conforto permeavano la comunità; i pensieri del “buongiorno”, qualche battuta come “sono venuto a controllare che abbia preso le tue medicine”, l’assicurarsi che godesse di tutti i comfort fisici possibili…. Lì non c’era alcuna promessa matrimoniale di amare in salute e in malattia, ma l’amore tra confratelli era forte e chiaro.
Un altro esempio mi ha quasi commosso. È la storia di un giovane religioso che probabilmente aveva avuto una “brutta giornata”, di quelle che capitano a tutti ogni tanto. In questi casi chi è saggio (che spesso significa qualcuno un po’ più anziano) sa attingere alla sua esperienza per far fronte a tali situazioni. In questo caso, un anziano confratello fece un cenno a quello giovane e lo fece sedere. Non c’è stata alcuna frase tipo “Sono tuo amico, parlami dei tuoi problemi”. Il confratello anziano gli ha semplicemente preso una mano e fatto il segno della croce sulla fronte. E ha aggiunto: “Avanti, fratello, il Signore è con te”.
Tutti siamo consapevoli del potere dell’amore e della tenerezza, e dovremmo usarlo spesso. Don Bosco aveva ragione: i giovani hanno bisogno di sapere di essere amati e dobbiamo farglielo sapere esplicitamente. Ciascuno ha l’opportunità di dire “ti voglio bene” ai giovani, agli anziani, agli angosciati, ai lontani dalla Chiesa… Si tratta di trovare il proprio modo di dire “ti voglio bene”. Resteremo sorpresi nel vedere che il nostro modo di trasmettere amore è contagioso. Lo abbiamo imparato dall’amore di Dio e dal suo accompagnamento quotidiano con noi.