Francia – “Vogliamo una società frammentata e violenta o ci impegniamo a costruire una società fraterna?”

(ANS – Argenteuil) – I Salesiani in Francia hanno di recente federato tutte le loro opere sociali all’interno della rete “Don Bosco Action Social” (DBAS), che conta al proprio interno 60 istituzioni ed è coordinata da don Jean-Marie Petitclerc, SDB. Esperto in educazione e periferie, fondatore dell’associazione “Le Valdocco” e in passato impegnato anche nell’amministrazione pubblica, ha parlato al Bollettino Salesiano francese, “Don Bosco aujourd’hui”, delle sfide dell’integrazione nelle moderne città.

Come valutate gli attuali orientamenti della politica verso le città?

Oggi si parla di nuovo di un “piano banlieue”… Ma siamo consapevoli che non risolveremo il problema dei cosiddetti quartieri “prioritari” solo con il denaro. La questione è il legame tra gli abitanti di questi quartieri - in particolare i giovani - e quelli delle altre parti della città. Siamo ad un bivio: “Vogliamo una società frammentata, inevitabilmente sempre più violenta, o vogliamo impegnarci a costruire una società fraterna?” Ora, questa domanda è centrale anche per il mondo salesiano. Mettendo insieme volontari di altri quartieri e professionisti che operano nelle banlieue, stiamo promuovendo la mobilità e facciamo conoscere la diversità sociale. In tal modo le istituzioni e i servizi della “Don Bosco Action Social” contribuiscono allo sviluppo di legami sociali basati sulla fraternità.

Quando collaboravate con il governo, un obiettivo era facilitare la coesione sociale. Ce ne può parlare?

Fui chiamato dal Ministro per gli Alloggi e le Città, nel 2007, ed entrai nel suo Gabinetto con il desiderio di partecipare alla ristrutturazione delle politiche cittadine. Sembrava che il fallimento di queste politiche, che andava avanti da trent’anni, fosse dovuto alla suddivisione in zone; principalmente si cercava di finanziare azioni condotte nei quartieri per gli stessi abitanti di quei quartieri. Ma tali politiche non sono riuscite a fermare la spirale di ghettizzazione. Quindi, a mio parere, era urgente riscrivere questa politiche sulla base delle nozioni di educazione alla mobilità e della conoscenza della diversità sociale. Mi ispiravo alla pratica sviluppata per 12 anni con l’associazione “Le Valdocco”: le attività interne ad un distretto vengono portate avanti da animatori esterni ad esse e il primo obiettivo delle attività di animazione con bambini e adolescenti era l’organizzazione di uscite e campi che permettessero loro di scoprire altre realtà.

Una delle vostre battaglie è quella di creare un legame tra famiglia, scuola e città. È ancora una battaglia significativa?

Un’importante difficoltà affrontata dai giovani dei quartieri problematici è che trascorrono le loro giornate in tre luoghi: la famiglia, la scuola e la strada. Ognuna di queste zone è caratterizzata da una cultura diversa: la cultura familiare è intrisa delle tradizioni di origine; la cultura scolastica è segnata dalle tradizioni repubblicane e quella del quartiere è diventata fondamentalmente una cultura tra pari grado, intra-giovanile, dove mancano gli adulti. Allo stesso modo, le tradizionali attività sociali in Francia sono fortemente suddivise: ci sono educatori delle équipe di Azione Educativa che lavorano principalmente con la famiglia; assistenti sociali attivi nelle scuole; educatori specializzati nella prevenzione sulla strada. Ma il comportamento dei giovani varia moltissimo a seconda dell’ambiente in cui si trovano. Ecco perché, da un punto di vista educativo mi sembra importante, come facciamo con l’associazione “Le Valdocco”, riunire il giovane che è sulla strada (attraverso l’animazione) con quello che vive nella scuola (grazie all’accompagnamento scolastico) e nella famiglia (attraverso azioni a sostegno della genitorialità).

Fonte: Don Bosco Aujourd’hui

InfoANS

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