Don Stefano Martoglio, Vicario del Rettor Maggiore, ha manifestato la gioia di tutta la Congregazione e dell’intera Famiglia Salesiana, commentando: “Questa notizia, nell’imminenza del S. Natale e dell’Anno Santo, è motivo di grande speranza. In un mondo immerso nella tragedia di guerre e lotte fratricide, immemore dei drammi del passato, la testimonianza di don Elia Comini rifulge come quella d’un operatore di pace e di riconciliazione. Inoltre, la notizia giunge nel giorno in cui ricordiamo la nascita della Congregazione (18 dicembre 1859): il riconoscimento del martirio di don Elia Comini è una eccezionale conferma del carisma di Don Bosco che trova nella carità pastorale il suo centro di irradiazione apostolica e educativa”.
Il Servo di Dio don Elia Comini nasce in località “Madonna del Bosco” di Calvenzano di Vergato, (BO) il 7 maggio 1910, secondogenito di Claudio ed Emma Limoni. Giovanissimo, Mons. Fidenzio Mellini, già alunno di Don Bosco a Torino, lo orienta ai Salesiani di Finale Emilia. Novizio il 1° ottobre 1925, Elia emette la prima Professione il 3 ottobre 1926 ed è professo perpetuo l’8 maggio 1931. Ordinato sacerdote a Brescia il 16 marzo 1935, il Servo di Dio vive nelle case salesiane a Chiari (in provincia di Brescia, fino al 1941) e a Treviglio (in provincia di Bergamo, dal 1941 al 1944), distinguendosi come bravo docente di materie umanistiche e sicuro riferimento per tanti giovani che gli aprono il cuore, vedono in lui un modello e gli si radunano attorno: “Sembravano una covata di pulcini attorno alla chioccia”. D’estate, d’accordo con i superiori, don Comini rientra per alcuni periodi sull’Appennino bolognese – a Salvaro – per aiutare la mamma, ormai anziana e sola. Qui aiuta nella pastorale lo stesso Mons. Fidenzio Mellini.
Tale è il viaggio che impegna don Elia Comini anche nella difficilissima estate del 1944. Egli arriva a Salvaro il 24 giugno. Vi resterà per poco più di tre mesi, sino alla morte. Soccorre la popolazione nella concretezza delle sue molteplici esigenze dettate dal tempo di guerra, anima la liturgia e promuove la frequenza dei sacramenti; affianca le consacrate e vive un intensissimo apostolato nell’esercizio di tutte le opere di misericordia corporale e spirituale. Media, inoltre, tra gli opposti fronti: popolazione; partigiani; tedeschi della Wehrmacht che stazionano in canonica per un mese (1° agosto – 1° settembre 1944). Il Servo di Dio istituisce con il giovane Dehoniano padre Martino Capelli una fraternità sacerdotale che li associa nel ministero.
Il 29 settembre 1944 mattina, don Elia Comini accorre con padre Martino Capelli verso la “Creda”, un abitato dove le SS di un battaglione della Sedicesima Divisione Corazzata avevano appena perpetrato un eccidio: stola, oli santi e teca con alcune particole eucaristiche lo identificano chiaramente come sacerdote, nell’esercizio del suo ministero di conforto degli agonizzanti. Catturato, spogliato delle insegne sacerdotali, usato come “bestia” da soma nel trasporto delle munizioni, don Elia vive quel giorno una intensa passione, certo obbligato ad assistere alle “più raccapriccianti violenze”. Tradotto a sera nella “casa dei birocciai” a Pioppe di Salvaro, vi vive due intensi giorni, persuaso sin dall’inizio di essere destinato a morire (“a far la carità se ne paga la pena”) e nondimeno vicino ai prigionieri, pronto sempre a confortare, soccorrere, infine assolvere. Falliscono le differenti mediazioni con cui si tenta di salvarlo, mentre egli intercede per tutti e sollecita i pochi accorsi ad appellarsi all’Arcivescovo di Bologna.
Alla sera del 1° ottobre 1944 viene ucciso nel gruppo degli “inabili” (innocenti rispetto a qualsivoglia compromissione) – nonostante egli fosse giovane e abile al lavoro – presso la Botte della canapiera di Pioppe di Salvaro, al termine di una surreale liturgia in cui le SS avevano fatto sfilare i prigionieri su una passerella prima di falciarli con le mitragliatrici: egli, intonando le Litanie e gridando infine “Pietà!”, l’aveva trasformata in un avanzare orante verso il Cielo. Poco prima della morte, un tedesco si è affermato ne abbia colpito violentemente le mani e il suo breviario cadde tra i corpi dei già uccisi, nell’invaso. Nell’impossibilità di recuperare le salme, verranno successivamente aperte le griglie e l’impetuosa corrente del fiume Reno trasporterà via per sempre quei poveri resti, già consumati e divenuti “terra”. Negli istanti dell’esecuzione, il corpo di don Elia Comini aveva protetto Pio Borgia, uno dei soli tre scampati all’eccidio della “Botte” e testimone decisivo dei fatti.
A don Elia Comini è associata da subito una fama di martirio, grazie alla quale anche la sua vita santa precedente viene riletta in una luce di consapevolezza nuova.
“Per la Chiesa di Bologna, per la Congregazione salesiana, in particolare per l’Ispettoria salesiana Lombardo-Emiliana e per tutta la Famiglia Salesiana, tale riconoscimento è motivo di grande gioia e di rendimento di grazie a Dio e alla Vergine Maria Ausiliatrice. Un grazie speciale al Relatore delle Causa, Mons. Maurizio Tagliaferri, e alla Dott.ssa Lodovica Maria Zanet, Collaboratrice della Postulazione, per il suo lavoro altamente qualificato”, dichiara don Pierluigi Cameroni, Postulatore Generale. “La sorgente profonda dello stile pastorale del Servo di Dio Elia Comini risiede nella scelta di esporre la vita per i fratelli, come ha fatto Gesù che ha consegnato se stesso alla morte per tutti i peccatori. Durante la vita e fino alla fine si è sforzato di essere un buon pastore e di spendersi senza riserve, generosamente, in un esodo da sé senza ritorno. Questa è la vera essenza della sua carità pastorale, che lo presenta come modello di pastore che veglia sul gregge, in difesa dei deboli e degli innocenti”.
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