“È stato davvero un itinerario bello e arricchente, quello organizzato dal Dicastero vaticano per gli Istituti di Vita Consacrata e le Società di Vita Apostolica (DIVCSVA)” – ha commentato don Francesco Marcoccio, Direttore della comunità salesiana del Sacro Cuore a Roma.
Sempre il salesiano, condividendo nel pensiero della “buonanotte” quanto vissuto in questa circostanza, ha sintetizzato alcuni degli aspetti fondamentali di questo percorso: “Abbiamo applicato, con grande giovamento per tutti, il metodo del discernimento spirituale proprio del sinodo alla dimensione del dialogo; abbiamo potuto apprezzare la dimensione femminile della vita religiosa; nell’incontro con il Papa del 2 febbraio, e anche nell’Angelus domenicale, abbiamo ascoltato la parola di Pietro e abbiamo visto valorizzato anche il ruolo degli anziani – e la vita consacrata, almeno in Europa, spesso è vissuta da tanti anziani; e poi abbiamo assaggiato davvero la ‘cattolicità’ della Chiesa, con centinaia di religiosi provenienti da 62 Paesi diversi, dei cinque continenti”.
Ma don Marcoccio non è stato l’unico entusiasta di quest’esperienza. A margine del pellegrinaggio di sabato 3 febbraio l’ANS ha raccolto diverse testimonianze significative:
“Per noi è una grande gioia poter partecipare a quest’‘anteprima’ del giubileo della Vita Consacrata, che ci rimanda ad un nuovo stile, che è quello della Chiesa di oggi, e cioè la sinodalità, un processo che deve coinvolgere tutto quanto: noi stessi, le nostre comunità, la vita ecclesiale, la nostra missione…” ha commentato suor Natália Miguel, Ispettrice delle Figlie di Maria Ausiliatrice dell’Angola.
Suor Lula, albanese, Suora Francescana Missionaria di Gesù Bambino, si è detta “molto sorpresa e molto contenta” di quest’esperienza di internazionalità vissuta. “Aver condiviso insieme le gioie, le fatiche e le speranze di tutta la nostra Chiesa ci conforta molto. E l’esempio che ci ha offerto il Santo Padre parlandoci di Simeone e Anna, due anziani che attendono di vedere il Signore, ci ha molto incoraggiati a saper vivere il tempo dell’attesa, nel contesto europeo che alle volte ci scoraggia perché sembra non capire la nostra vita”.
Da parte sua, Padre Sobi, ungherese, della Congregazione della Missione (Lazzaristi), ha apprezzato molto la comunione d’intenti (“essere testimoni del Signore in questo mondo”), nella gran varietà di presenze (“è stata l’occasione per vedere tutto il mondo in una sala”). E ha aggiunto: “Mi ha colpito anche la testimonianza di una suora che ci ha detto che il numero dei consacrati diminuisce anche in Italia, perché dalle nostre parti pensiamo che qui siano tutti ferventi cattolici. Ma se all’inizio questo dato ci colpisce, poi sopraggiunge il pensiero che noi consacrati rimaniamo un segno in questo mondo: come una candela, che è qualcosa di piccolo, ma in una stanza buia può dare tanta luce”.
Per il lassalliano costaricense Lesberth Dimas è stato “un incontro molto interessante per la Vita Religiosa, dove abbiamo potuto esprimere il nostro desiderio di forgiare un futuro pieno di speranza e di riconciliazione, in Dio e tra di noi. Una riconciliazione che poi conduce ad una vita di fraternità e accoglienza del prossimo, perché ci fa sentire fratelli e sorelle di tutti: e questo è qualcosa che può far sorgere qualcosa di nuovo nella Vita Religiosa e può essere soprattutto una testimonianza per l’umanità”.
Suor Lety Pérez, delle Ancelle di Cristo Re, giunta a Roma dal Venezuela, afferma come sia stata “un’esperienza meravigliosa di fraternità, di sinodalità, dove la speranza e la riconciliazione hanno segnato le riflessioni e tutto il nostro vissuto. E anche il pellegrinaggio ci ha confermato nella fede e nel desiderio della Chiesa di condividere la salvezza e la pace con il mondo. Questa fraternità che abbiamo condiviso tra di noi – conclude – è stata davvero una Pentecoste tra di noi, e la celebrazione della gioia di essere chiamati da Dio ad essere pellegrini di speranza e riconciliazione per il mondo”.
Di riconciliazione e speranza ha parlato anche fra’ José Dick Ramírez, OFM Capp., dell’Ecuador. “Sono felice di aver partecipato e aver potuto condividere con religiosi e religiose di tutto il mondo quest’esperienza di giubileo, in cui abbiamo riflettuto su quello che desideriamo per il futuro. Credo che abbiamo potuto vedere la grande ricchezza della Vita Religiosa di essere profeta nel mondo, evidenziando ciò che è negativo e mettendo in luce ciò che è positivo”.
E se fra’ Jean Joseph Marie Hounsa, francescano dell’Immacolata proveniente dal Benin, ha sottolineato “la ricchezza e la gioia della Vita Consacrata” che sono emerse nel confronto dei quattro giorni e la bellezza di essere pellegrini a Roma; suor Alice Joseph, dell’Istituto delle Ancelle dei Poveri, giunta dall’India, ha sottolineato “la libertà e la profondità delle condivisioni” e la percezione di aver davvero ricevuto un mandato da consegnare ai suoi prossimi nel suo servizio, una volta tornata a casa.
Ancora, per l’indiano Anand Talluri, delle Pontificio Istituto Missioni Estere, missionario in Tunisia, l’incontro è servito a ricordare l’importanza di “costruire ponti tra le persone” e ha riacceso il desiderio di costruire “una Chiesa vicina alle persone, che dialoga e che parla la lingua della gente”; mentre l’agostiniano Recolletto Eddy Omar Polo, al termine dell’esperienza ha invocato “che il Signore ci aiuti ad essere consacrati sempre migliori e a donarci integralmente per il Regno, sapendo che Egli ci viene sempre incontro e che noi dobbiamo seguirlo donandoci con generosità ai nostri fratelli e sorelle, che si aspettano da noi maggiori carità e misericordia”.
“Come possiamo risplendere di speranza per il mondo?” è la domanda che è sorta nel lassalliano indiano Sunil Brito dopo quest’evento. E la sua risposta è stata, citando una poesia di Charles Péguy, che la speranza deve viaggiare insieme con la fede e la carità, guidandole a credere e ad amare ciò che ancora non si vede.
Infine, suor Sarita Nazareth, anche lei indiana, dell’Ordo Virginum, ha concluso parlando di come il pellegrinaggio tra alcuni luoghi sacri di Roma sia stato per lei di ispirazione per comprendere come “noi religiosi possiamo essere concretamente operatori di riconciliazione nelle nostre realtà concrete”.
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