Italia – Testimonianze dal “Mondo Salesiano”: la pastorale fatta in rete con il territorio, la modernità assoluta di idee di due secoli fa
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19 April 2024
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(ANS – Ancona) – I miei genitori si sono conosciuti e sposati nella parrocchia salesiana di Marsala. I due fratelli di papà erano salesiani in Sicilia: insegnavano, uno all’Istituto Teologico “San Tommaso” di Messina, sulla collina che domina lo stretto; l’altro, nella stessa città, al “San Luigi”. Ho respirato il profumo di “Don Bosco” fin nel midollo. Quando con la mia famiglia sono arrivato ad Ancona, a mio padre, che era ingegnere in ferrovia, è stata assegnata una casa a pochi metri dalla stazione ferroviaria, ma anche dalla chiesa salesiana, e ho pensato che fosse proprio nel mio destino.

Non ho mai frequentato una scuola salesiana, ma quella salesiana è stata una scuola di vita, che mi ha portato, grazie a due anime illuminate – don Vincenzo di Meo e suor Assunta Romeo – alla promessa di Salesiano Cooperatore a poco più di 16 anni. Più o meno è stata l’età in cui, per sbaglio, ho cominciato a fare il giornalista, ancora liceale, con il periodico diocesano “Presenza”. Ero troppo giovane per capire cosa significasse “illuminare le periferie” ma concretamente è quello che è successo.

I salesiani erano in un quartiere già anziano, e già con pochi giovani. Pochi, in quegli anni, potevano pensare che il quartiere si sarebbe trasformato in una zona multirazziale, in cui oggi, si fa una certa fatica a trovare un italiano. Negli anni, a molti è sfiorata l’idea che i salesiani si sarebbero dovuti trasferire nei quartieri nuovi, cresciuti all’ombra del terremoto del 1972 prima e della frana del 1982 poi, anche per una certa voglia di rigetto per la vita nel centro storico. Don Bosco mi ha aiutato molto a raccontare i flussi di quegli anni, le periferie-dormitorio in cui si spostava il baricentro giovanile, con nuove domande legate a una grande difficoltà a realizzare servizi loro dedicati e grandi spazi per chi ha come focus la pastorale giovanile.

I salesiani cercavano di aggiornare la loro missione e don Di Meo, parroco, Direttore dell’opera, poi anche Ispettore, ha saputo vincere la diffusa tentazione di mantenersi nel perimetro della comunità salesiana, lanciando lo sguardo verso una dimensione diocesana, mettendo il carisma giovanile di Don Bosco al servizio della pastorale di tutta la Chiesa locale. Abbiamo raccontato queste dinamiche fondando un periodico locale salesiano, “II Grillo”: un giornalismo salesiano che intendeva narrare il grande lavoro realizzato, ad esempio, da figure come don Cesare Orfini con la “riapertura” dell’Oratorio-Centro Giovanile, con una rinnovata attenzione ai giovani, per evitare le classiche fughe post cresima, in risposta al problema già vivo dello svuotamento dei cortili.

Sono arrivati “Laboratori di Cinema e Teatro”, fino alla realizzazione di grandi musical (In Maniche di Camicia, Minot) sulle figure di Don Bosco e Domenico Savio. Ragazzi e giovani ne erano protagonisti assoluti, dalla scrittura, agli arrangiamenti musicali, alla realizzazione di regia e coreografie.

Poi, don Dalmazio Maggi, che ha colto, in quello che ormai la stampa locale definiva il “bronx” di Ancona, il grande valore della multiculturalità. Così è nato, ed è stato bello raccontarlo a livello nazionale, un grande progetto, l’“Oratorio Colorato”, che ha avuto il grande pregio di favorire il dialogo fra decine di etnie diverse ed elaborare una pastorale di inclusione e integrazione.

Oggi le redini di questo progetto sono state raccolte da un giovane prete missionario, prestato nelle Marche per qualche tempo, don Giampiero De Nardi. L’oratorio è frequentatissimo, tanti i servizi, in particolare la scuola d’italiano per stranieri e il doposcuola per tutti, in una zona in cui l’abbandono scolastico è alto, così come la microcriminalità.

I salesiani cooperatori hanno voluto rinsaldare la connessione con la Chiesa diocesana riportando, ad esempio, la festa di San Francesco di Sales, diocesana, all’interno dell’opera salesiana, rafforzando questo collegamento che vede il santo patrono dei giornalisti e comunicatori scelto da Don Bosco per “battezzare” la sua Congregazione. Da una parte il santo che, Vescovo a Ginevra, di fronte a un popolo freddo, che non andava in chiesa, refrattario al messaggio evangelico, si inventava i “tweet” di oggi, liofilizzando l’annuncio in brevi frasi, leggibili, popolari, che lasciava affisse in bigliettini, i “pizzini” di oggi, sulle porte delle case; dall’altra, il grande intuito di Don Bosco sui giovani: sapeva che le parole chiave erano amore, comunicazione, lavoro. Li portava via dalla strada, li amava come solo un padre sa fare e per offrirgli un futuro apriva tipografie, fondava giornali, comunicava futuro.

In poche righe non è possibile descrivere la genialità di questo santo, il suo carisma. La grande domanda è come aggiornare continuamente questo carisma, come mantenerlo sempre attuale in un tempo che cambia vorticosamente, in quello che Papa Francesco definisce un cambiamento d’epoca, in cui, da una parte si va avanti alla velocità della luce, con l’Intelligenza Artificiale, dall’altro si torna alla preistoria, con l’idea brutale che il futuro è la prevaricazione bellica e non la capacità di salvarsi insieme.

Una bella domanda è: “Cosa ci direbbe oggi Don Bosco?”. Credo che risponderebbe con entusiasmo alla grande sfida del Sinodo lanciata da Papa Francesco. Lui, grande figura "proto-sinodale", con il suo stile pastorale, in rete con il suo territorio, responsabilizzando i Cooperatori laici, Coadiutori e - perchè no - imprenditori in un’azione condivisa...

Don Bosco era convinto che il futuro della Chiesa fosse lì, in questa joint venture globale in cui si esaltava “l’avanguardia del Progresso”, come scrivevano di lui i giornali torinesi di allora. Ecco, la modernità assoluta di questo Santo, vissuto due secoli fa, ma ancora tanto “avanti”, al punto che ancora oggi, si fa fatica a stargli dietro...

Vincenzo Varagona,
Presidente dell’Unione Cattolica della Stampa Italiana

Fonte: Avvenire

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