Italia – Giornalismo e comunicazione, ieri, oggi e domani. Ne parla don Giuseppe Costa, SDB

Foto: Immagini RAI
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(ANS – Roma) – Per diffondere la Buona Novella “fino agli estremi confini del mondo”, come da mandato dello stesso Gesù, conoscere il sistema mediatico è certamente importante. Anzi, al giorno d’oggi, è forse fondamentale. Per questo don Giuseppe Costa, co-portavoce della Congregazione Salesiana e con un lungo curriculum nel mondo della comunicazione, salesiana e non, ha ancora molto da dire e da insegnare.

Ecco che cosa ha raccontato al settimanale del Tg2 “Mizar”, intervistato da Enzo Romeo, a motivo dell’uscita del suo ultimo libro “Girovagando tra cronache ed eventi. Quarant’anni di giornalismo”, edito da Nema Press

Sacerdote e giornalista: cosa lega questi due ruoli?

Innanzitutto, entrambi ricercano e difendono la verità. Poi c’è l’uso della parola: il sacerdote usa la Parola di Dio, il giornalista la usa per comunicare, per far comprendere. Direi che il sacerdote ha bisogno degli strumenti del giornalista, e che le due professioni si integrano e si sostengono a vicenda.

Segui la comunicazione da circa 40 anni: com’è cambiato questo mondo in tutto questo tempo?

È cambiato sostanzialmente per quanto riguarda l’evoluzione tecnologica. Abbiamo strumenti che quarant’anni fa erano inimmaginabili, e che hanno determinato atteggiamenti diversi.

Anche perché con i social tutti siamo in qualche maniera giornalisti, o almeno ci sentiamo tali…

Sì, tutti si sentono giornalisti, ma questa è la grande illusione che potrebbe distruggere il “ruolo sociale” del giornalismo. Il giornalismo ha una grande funzione sociale, a prescindere dalle tecnologie, e questo presuppone una formazione particolare dei giornalisti.

Sei stato docente di giornalismo all’Università Pontificia Salesiana: ma si può insegnare il giornalismo? O va appreso sul campo?

Sì, è un mestiere che si apprende sul campo, ma che ha sempre più bisogno di una preparazione teorica, culturale, scientifica… Da qui discende la necessità, per chi vuole fare il giornalista, di studiare seriamente, con buoni studi universitari. Ma la pratica è certamente necessaria, e laddove non ci fosse la possibilità di esercitare il mestiere, bisognerebbe creare dei laboratori.

Sei stato anche Direttore della Libreria Editrice Vaticana (LEV) e hai frequentato il mondo dell’editoria. C’è ancora spazio per il libro cartaceo nell’era del web?

Certamente! Il libro tangibile provoca anche il senso del tatto, il desiderio di avere un libro, di poterlo toccare… Lo schermo in tal senso rimane qualcosa di più freddo e distante.

Quanto desiderio c’è ancora tra i lettori di temi religiosi e spirituali?

Il problema non è se ci sia desiderio di temi religiosi e spirituali, ma di quali temi religiosi e spirituali. Oggi si cerca il sensazionale, il fenomeno metafisico, ma non si ha una chiarezza di quello che è una tradizione, un’arte o un’ispirazione religiosa. Per cui si tratta in verità di educare questo desiderio.

Don Bosco ai suoi tempi apriva tipografie per i ragazzi. Oggi che scelte farebbe?

Oggi farebbe le scelte che il quotidiano gli consentirebbe: utilizzerebbe i social per evitare che i giovani diventino preda di ideologie.

Nella tua vita hai scritto centinaia di articoli: se dovessi salvarne uno solo, quale sarebbe?

C’è un articolo che ricordo con tanto piacere e che ho ripubblicato, dedicato alla “solitudine dei giornalisti”, condizionati nel loro lavoro perché la proprietà editoriali non consentono loro di pubblicare quanto sentono nella coscienza. In questo senso le concentrazioni delle proprietà, la globalizzazione, le nuove tecnologie e il loro uso non regolato hanno finito per isolare il giornalista, che era vigile, attento, osservatore della cosa pubblica, e che dava il suo contributo sociale ubbidendo alla sua coscienza.

Fonte: Tg2 - Mizar

InfoANS

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